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Amerika

Regia di Maurizio Scaparro vedi scheda film

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La recensione su Amerika

di HAL70
6 stelle

Kafka non è più intraducibile di Kleist o Freud. Si suppone che Kafka non sia cinematograficamente "rappresentabile" solo perchè i piani di lettura dei suoi racconti, dei suoi romanzi sono davvero molteplici e, affrontando questo autore, si teme troppo e a sproposito di non risultare esaustivi a sufficienza, quasi che la scelta , deliberata e responsabile, di alcune chiavi ermeneutiche e non d' altre risulti finalmente un tentativo monco, abortito, un minus habens tra le opere aventi alle spalle una Letteratura gigantesca.
Scaparro fa un' operazione onestissima: trasporta, con strumenti e linguaggio cinematografici, una piece teatrale sul grande schermo, rendendo fin da subito evidente la matrice dell' esperimento.
Non è teatro filmato.Amerika è un film a teatro, uno spazio teatrale utilizzato per comporre cinema.
Emergono soprattutto gli aspetti grotteschi del romanzo: Brunelda, il capoportiere, il reclutatore per Oklahoma sono gli stessi volti (come l' attore che l' interpreta)del sogno giuocato sull' etica della sperequazione, della grandiosità liberticida, del sospetto, dell' egoismo e dell' arbitrio come condizioni imprescindibili di realizzazione sociale. L' Amerika di kafka e Scaparro, rispetto a quella di Straub, è più direttamente mediocre, avviluppata nelle proprie rendite di posizione e nelle menzogne consustanziali al suo esserci e sedurre ogni tipo di straniero.La componente totalitaria è puro nitore laddove il viaggio in treno verso il Teatro dei teatri è, con tutta evidenza, cammino per Auschwitz (e la presenza del ragazzo italiano, ex collega furbastro e servile di Karl, non suscita alcun moto di piacere o parvenza di legge morale). I più umili fra gli umili sono alcoolizzati e ladri che tentano di truffarsi vicendevolmente: forse hanno davvero trovato l' America, istituzionalizzazione democratica di questo loro costume dettato da sperdimento e lunghissima fame; i ricchi sono meno benestanti che portatori perpetui di una cultura della sopraffazione e gli zii d' America fungono , appunto ,da illustratori pedagogisti di una simile "lectio".Scaparro riesce nel suo tentativo (dopo essersi cimentato in passato con Cervantes, sceneggiato da Azcona) e , pur distante le mille miglia per estetica e (dis)gusto spirituale da un Trier, ci ricorda l' ibridazione, la contaminabilità , il reciproco arricchimento che può derivare da un mestiere non separatista ed elitista delle e nelle arti.Da ricordare la(le) performance(s) di Enzo Turrin.

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