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Kill Bill. Vol. 2

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su Kill Bill. Vol. 2

di giancarlo visitilli
8 stelle

Non è un film, ma un trittico d’altri tempi, la cui bellezza emoziona, fino alle lacrime. Il capitolo conclusivo di Kill Bill di Quentin Tarantino certamente sarà un punto di riferimento, fermo e deciso, nella storia del cinema a venire.
Una furia lirica l’invade, la sapienza enciclopedica (puro amore per il Cinema, quello con la “C”…), proveniente dalla passione del regista Tarantino per registi che hanno lasciato il segno (Leone, Fulci, Corbucci), insieme a citazioni musicali (Morricone e la musica degli anni Settanta più di tutte), fanno dell’autore di questo film l’assioma del cinema yakuza, del poliziesco hongkonghese, ma soprattutto dello spaghetti western.
A differenza del primo Volume, questo è un continuo svelamento. Mantenendo le stesse promesse del primo, finalmente comprendiamo il motivo del massacro nella chiesa dei Due Pini. Una sorta di acquerello in bianco e nero, reso a colori vivaci dalla presenza della bellissima Uma Thurman che “ha un cucciolo da sfornare” perché è “un po’ incinta”.
Sappiamo dell’educazione guerresca ricevuta da Beatrix da parte di Pai Mei, il maestro d’arti marziali cinese, che odia i bianchi, detesta gli americani, non sopporta le donne (tanto da cavar loro gli occhi, come avviene per la California Mountain Snake), in particolar modo le “jankee che sanno solo urlare e ordinare al ristorante, spendendo i soldi dei loro uomini”, e critica i giapponesi. Ma, quel che maggiormente desta sorprese è scoprire come, dietro all’immagine della violenza personificata, possa battere un palpitante cuore di mamma. Un amore che uccide e distrugge. Lo stesso del regista, la cui fama di violento fino all’impossibile, si combina con un amore esacerbato per ciò che cova nel nido della natura umana, nella sua parte segreta e sotterranea. E’ qui, nelle viscere della terra, quando si è soli con se stessi che la tensione si fa cardiopatica (la scena della sepoltura toglie il respiro). Ma basta poco a Tarantino per passare dal miglior genere horror a quello drammatico popolare, con tanto di mamma Thurman che abbraccia la propria figlia, perduta e ritrovata, proprio come nei drammoni di cui il nostro cinema è gremito.
Interessante il ‘collezionismo di figure paterne’ a cui si fa riferimento nel film. In un’epoca orfana di madri e padri veri, a chi il compito di ricoprire tale ruolo? Di cosa si nutre ogni rapporto d’amore, extra o intra che sia, se non di un alternarsi di Amore e Odio. “E’ nel buio che vedo la luce” diceva il poeta. La vita che uccide sembra interessare Tarantino.
Ai piani sequenza si alternano numerosi dettagli alla Sergio Leone, attraverso un montaggio ‘tarant-olato’. Alle inquadrature strambe fanno da contrappunto campi e controcampi con punti di fuga al di là della camera. In questo secondo Volume primeggia la sceneggiatura, serrata di dialoghi efficacissimi, anch’essi in sincope, rispetto all’aridità delle parole non dette del Primo Volume. Tutto appare “gargantuesco”, compresi gli attori, tutti al massimo delle loro possibilità, perché ben diretti, come sempre, da un regista capace di tirar fuori il meglio dai suoi interpreti.
La passione di Tarantino va ben al di là del cinema, si nutre dell’immaginazione onirica e delle potenzialità altrimenti impossibili dei personaggi ‘di carta’, che hanno accompagnato i bisogni e i sogni di noi tutti: dall’Uomo Ragno a Superman, passando per Shongun il giustiziere. Infatti, il film si conclude come la più tradizionale delle favole: “la leonessa s’è ricongiunta al suo cucciolo e vive tranquilla nella sua foresta”.
Con Kill Bill II di Tarantino ci si soffoca, ci si libera di molti prototipi di cui la quotidianità è affollata. Si piange, si ride, si sogna… I soli motivi per i quali spesso ci si dimentica di andare a Cinema.
Giancarlo Visitilli


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