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Il siero della vanità

Regia di Alex Infascelli vedi scheda film

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La recensione su Il siero della vanità

di giancarlo visitilli
4 stelle

Reduce dall’eccessivo successo di critica di Almost Blue, che lo aveva posto nell’olimpo dei nuovi registi visionari del nostro cinema, Alex Infascelli, mette in bella mostra la sua eccessiva vanità, condensandola nel suo nuovo film Il siero della vanità. La storia di un giovane folle turbato profondamente da un evento passato, disposto a tutto pur di poterlo ripetere.
A meno che non si abbia già letto e riletto, masticato e digerito “Cattiva maestra televisione” di Karl R. Popper, fare un film sulla televisione, il suo mondo volgare e lo squallore dei suoi personaggi è molto rischioso. Lo diventa ancor di più se la pretesa del giovane regista è quella di affrontare insieme a questo un altro tema, che il cinema italiano ha sempre avuto difficoltà ad affrontare: la storia di un serial-killer.
Di quelli che, senza motivo, sequestra cinque persone colpevoli di voler essere popolari e televisivi ad ogni costo, come i tanti figli di Mamma Rai e Suocera Mediaste. Nel film ce n’è per tutti: dal professore psichiatra, tanto somigliante all’ormai ‘televisiva psichiatria in persona’, Paolo Crepet, all’esordiente cantante (non molto intonata) che però ogni sera cavalca il palcoscenico, perché a tutti i costi deve ‘entrare’ nelle case e nelle teste degli italiani (vedi i figli, i nipoti, i cani e i gatti della casa dolce casa De Filippi-Costanzo). E tanti altri, compresa la presentatrice dello show, Sara Norton: dal capo al cinto molto Raffaella Carrà dei bei tempi (vista di spalle), dal cinto in giù qualcosa che sta tra l’Alba (Fucens) Parietti e Licia Colò (viste entrambe d’avanti).
Sulle tracce del pazzo serial-killer, un’investigatrice (Margherita Buy) fallita, alcolizzata e per giunta zoppa (che però insegue!) e il suo aiutante. Una camera che insegue ed è disposta a fare scoop a tutti i costi, perché “lo show deve continuare”; quella della troupe televisiva del Sara Norton Show, di un’eroina televisiva senza scrupoli e con un unico interesse: la messa in onda del suo programma.
Il film, pur avendo una struttura abbastanza classica, costruita dal regista con l'aiuto di Niccolò Ammaniti, manca di un elemento fondamentale: il cinema. Nonostante l’eccessiva e ridondante costruzione stilistica delle inquadrature sghembe, dei grandangolo, delle troppe soggettive, la registrazione della traccia audio in 5.1 surround. Sembra che l’unico regista ad aver ispirato Infascelli sia il Salvatores (da Denti in su). Ma, nonostante tutto, Il siero della vanità attrarrà al cinema non pochi giovani ‘amici’ di Costantino, Salvo & Cristina, Ciccino & Ciccina, i cosiddetti ‘figli di’, altro che fiori. Quale il segreto? A cominciare dalle colonne sonore, affidate a Morgan (nella sua parte peggiore), ma soprattutto nella scelta del cast, che accontenta tutti, anche quelli di Orgoglio: una Margherita Buy che sembra uscita da un film di Buster Keaton, una poliziotta zoppicante che tira un inseguimento, a piedi; il solito Valerio Mastrandrea figo; la bella Francesca Neri che sembra recitare nella parte di sé stessa e Barbora Bobulova, giustamente la Miss Italia della situazione. Insomma, ce n’è veramente per tutti. Soprattutto per quel pubblico che paga il canone rai e preferisce guardare la mediaset. Ma c’è bisogno di andare sui grandi schermi per raccontare una realtà tanto odiata-amata? In cui solo “chi la dà”, fa (in tutti i sensi) la televisione, che si rigenera ogni giorno attraverso i lifting e i make-up di gente, tutto sommato, e nonostante i soldi, veramente triste e deprimente come il “Toro Scorreggione” del Sara Norton Show.
Per chi volesse dimenticare questo film (a meno che scegliate giustamente di non andarlo a vedere), sarebbe utile riprendere fra le mani film come: Quarto potere, L’asso nella manica, Un volto nella folla, Power, Videodrome, The Truman Show. Il resto è, come cantava il bravo Branduardi, “tutto vanità…”
Giancarlo Visitilli

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