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Milano odia: la polizia non può sparare

Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film

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La recensione su Milano odia: la polizia non può sparare

di Piace91
9 stelle

Il miglior antagonista della storia del poliziottesco. Che poi, parlare di antagonista è riduttivo, dato che Giulio Sacchi è il perno di Milano odia, il tratto distintivo che rende il film un capolavoro del genere: una di quelle pellicole che ti gelano le ossa e ti accendono la passione contemporaneamente. Tomas Milian è un attore totale, il suo Giulio Sacchi, ruolo scelto di persona dal cubano, un simbolo. In un genere che vive di stilemi e soggetti precisi e sempre uguali (e per questo spesso criticato), trovare un personaggio così ben scritto e particolare è rarissimo. Giulio Sacchi non è un criminale comune, come se ne sono visti tanti: mitra in mano, passamontagna e pochi scrupoli; Giulio Sacchi è la quintessenza del sadismo e della brutalità, un uomo iperbolicamente violento e amorale... almost human, come recita il titolo della versione americana.

 

Ma Giulio è prima di tutto un perdente, un vigliacco, uno che vuole prendere ogni scorciatoia per arrivare a una ricchezza che brama alla follia, ma non ha le palle per la vita da delinquente. Giulio sa fare il gradasso solo coi più deboli: gli saltano i nervi davanti a un vigile e ritrova la strafottenza solo nell'umiliare dei piccoli contrabbandieri. Non ha nemmeno il cuore per amare, ma solo per vivere alle spalle di un'impiegata troppo timorosa per farsi rispettare. Non ha la stoffa del bandito metropolitano e si aiuta abusando di alcool e droghe, che spazzano via le paure di un uomo piccolo e gonfiano la spietatezza di uno psicopatico implacabile, reso al meglio da un Milian realmente fatto e ubriaco.

 

Giulio è anche un proletario, uno che dalla vita non ha avuto nulla, tantomeno l'orgoglio e il senso del dovere dei tanti lavoratori pari-classe. Un tratto essenziale che Umberto Lenzi, uomo di sinistra, appose di persona al personaggio, che nella sua lucida barbarità sa scolpirti nella memoria frasi senza tempo. La droga "l'hanno inventata quelli che vanno all'università per noi che non ci siamo andati, così non ci preoccupiamo". E ancora "O i soldi ce li hai e sei qualcuno, o non ce li hai e sei una pezza da piedi". Fino a "Vendere la vita otto ore al giorno, tutti i giorni, finché strisci i piedi al ricovero della mutua... mentre c'è gente come il padrone tuo che fa un sacco di miliardi e li mette tutti in Svizzera". Giulio Sacchi sa mettere a nudo le ingiustizie della società, ma nemmeno per un secondo Lenzi lo fa passare dalla parte dei buoni. 

 

Buoni, infatti, non ce ne sono. Il ritratto sociale di Lenzi, incastonato di una Milano grigia e soffocante, rasenta il nichilismo. Il poliziotto interpretato sommamente da Henry Silva, che si conferma una faccia creata da Dio in persona per il cinema, finisce risucchiato in una spirale paranoica, ossessionato da Sacchi fino a volerlo vedere morto. La borghesia viene sfregiata, inchiodata dai colpi di mitra nella maestosa sequenza della villa, dove vengono messi in scena i vizi e le ombre della gente per bene, seviziati e trucidati dall'odio che Giulio ha accumulato verso una società che lo ha ripudiato. Milian qui è selvaggio, spietato e poi torna lucido, calcolatore, in un'interpretazione degna del miglior Al Pacino. 

 

Milano odia è come Giulio Sacchi: ti prende, ti seduce, ti disgusta e ti conquista. Milano odia è anche Umberto Lenzi, che ha saputo prendere una delle migliori sceneggiature di Gastaldi e incastonarla nell'olimpo del cinema, regalandoci un coacervo di violenza, rivalsa e amoralità. 

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