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Fanny & Alexander

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Fanny & Alexander

di SatanettoReDelCinema
8 stelle

L'eredità cinematografica di Ingmar Bergman è rappresentata in questa opera visivamente parlando eccellente, anche se di difficile visione.

Fanny & Alexander non è l’ultima prova registica di Bergman. E’ l’ultimo suo film destinato alle sale cinematografiche, ma non la sua prova ultima da regista in generale (quella è Sarabanda).

Considero tuttavia questo film come il suo testamento, in quanto ha nei suoi significati un incrocio delle varie tematiche che il regista svedese ha trattato nelle sue opere precedenti (la religione, con l’austerità delle sue regole, la passione per il teatro) ma adattandole ad un contesto normalizzato.

Non vi sono gli elementi di surrealismo che si possono trovare negli altri capolavori del regista quali Il settimo sigillo o Il posto delle fragole. Al contrario, è lineare nello svolgimento ed è in un contesto più “reale” possibile.

Contesto stesso che è arricchito da note autobiografiche mai così visibili per quel che riguarda il complesso cineasta svedese.

La cosa che emerge più chiaramente rispetto alle altre in Fanny & Alexander è il suo sentimento.

Si percepisce che il regista, non avendo più tante idee per un altro ermetico film come ai bei vecchi tempi, con questa opera vuole lasciare allo spettatore il film più….suo.

Le già citate note autobiografiche che passano attraverso la storia e lo sguardo dei due giovanissimi protagonisti sono un’evidente dimostrazione di questa tesi.

Il regista cura in maniera maniacale i suoi personaggi e i suoi spazi, è preciso nel cogliere l’espressione giusta nella giusta situazione.

Casalingo e pacato nei momenti di calma iniziale, diventa sempre più angosciante e cupo man mano che le vicende nei tre grandi atti dell’opera si snodano.

Le scenografie sono illuminate con il cuore e l’accompagnamento musicale è perfetto a seconda della scena.

E gli attori (tra cui anche alcuni caratteristi del cinema Bergmaniano, quali Jarl Kulle, Harriet Andersson, Erland Josephson, giusto per citarne i principali) interpretano i loro personaggi in maniera sentita e motivata dallo scopo dell’opera.

 

Mi secca non mettere 10 ad un’opera del genere, ma purtroppo devo restare in linea con la mia scala valutativa.

Il problema del film è chiaramente nella sua durata di più di tre ore.
Intendiamoci, io non sono per davvero il populista medio secondo il quale se il film dura più di un’ora e mezza è automaticamente un polpettone.

Sono convinto che i film lunghi si possano fare purché nella loro lunghezza riescano a mantenere il filo del coinvolgimento. Esempio perfetto per me è C’era una volta in America dell’immenso Sergio Leone, lungo più di tre ore ma realizzato talmente da Dio che la durata vola via tra mille emozioni.

Ma dell’ultimo capolavoro del maestro ne parlerò in un futuro imprecisato.

Questo purtroppo è un mio limite, dovuto probabilmente alla mia ancor giovane (tutto sommato) età, ma pur riconoscendo il valore incredibile di un’opera del genere non riesce a coinvolgermi come vorrei.

In questo caso stiamo parlando di un film comunque parecchio lento a carburare, il prologo è molto macchinoso e il più debole di stomaco potrebbe non riuscire a digerire in partenza.

So però che c’è anche di peggio, considerando che esiste una versione per la tv svedese che di ore ne dura ben cinque (alla faccia, devon proprio divertirsi gli svedesi e quelli dell’est in generale con questo tipo di film, probabilmente per loro sono l’equivalente delle commedie di Totò qui in Italia…).

E riconosco infine la sua fattura eccelsa e, soprattutto, il suo valore assoluto di testamento (come già detto all’inizio) di uno dei più grandi registi di sempre.

Da vedere assolutamente in ogni caso, un must-see per qualsiasi cinefilo.

 

 

Voto: 8,5/10

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