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Deriva a Tokyo - Il vagabondo di Tokyo

Regia di Seijun Suzuki vedi scheda film

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La recensione su Deriva a Tokyo - Il vagabondo di Tokyo

di AndreaVenuti
9 stelle

Tokyo Drifter (conosciuto anche con il titolo Deriva a Tokyo- Il vagabondo di Tokyo) è un film giapponese del 1966 diretto da Seijun Suzuki.

 

Sinossi: Tetsuya detto “La Fenice” è il braccio destro dell’anziano Kurata, potente boss della yakuza che ora sta provando a legalizzare la sua attività. Tetsuya apprezza la vita da cittadino onesto e vorrebbe continuare a rigare dritto tuttavia il clan rivale Otsuka lo ostacolerà in tutti i modi…

locandina

Deriva a Tokyo - Il vagabondo di Tokyo (1966): locandina

Nel 1966 Seijun Suzuki aveva già diretto una quarantina di film, quasi tutti Yakuza-Eiga made Nikkatsu, messi in scena con onesta professionalità; almeno così è stato fino ai primi anni Sessanta poi qualcosa è scattato nella testa del regista che stanco di calarsi nelle vesti di “semplice” mestierante decide, in collaborazione con lo scenografo Takeo Kimura, di dare sfogo alla sua particolarissima idea di cinema riscontrando però le ire della Nikkatsu; situazione che poi detonerà  con il al celebre licenziamento del regista al termine de La farfalla sul mirino.

 

Detto questo i problemi con l’antica casa di produzione incominciano a farsi insostenibili al termine della realizzazione di Tattoned Life (1965); i vertici produttivi insoddisfatti dalla creatività del regista lo puniscono obbligandolo a dirigere un film con budget irrisorio (questo Tokyo Drifter) ed inizialmente le cose sembravano andare bene per la casa di produzione poiché pubblicamente il regista disse che si sarebbe ridimensionato ma in realtà stava sbeffeggiando la Nikkatsu e l’incipit incredibilmente sperimentale ed anti-commerciale risulta essere un vero e proprio atto di guerra.

 

Tokyo Drifter è dunque uno Yakuza-Eiga anticonvenzionale, un film che in parte punta a sdoganare alcune caratteristiche tipiche del filone, anzi potremmo definirlo come una sorta di anticipatore della rivoluzione sul genere che poi andrà ad attuare, anche se con uno stile completamente opposto, Kinji Fukasaku tra gli anni Settanta ed Ottanta.

 

In precedenza si accennava ad un inizio davvero sovversivo ed infatti è così: pieno inverno, il protagonista Tetsuya si trova in una stazione ferroviaria deserta e viene affiancato da un gruppo di uomini che lo pestano selvaggiamente. 

La sequenza è distinta da un b/n sgranato, si evincono i segni di usura della pellicola mentre a livello tecnico Suzuki gioca molto con il montaggio discontinuo l’ellissi (marchi di fabbrica del Suzuki autore) poi mostra un flashback di un nemico, atto a rievocare le gesta passate di Tetsuya, e la cosa che sorprende è che la scena è girata a colori e che colori, smaglianti ed incredibilmente accessi.

 

Nella sequenza successiva il regista sembrerebbe cambiare radicalmente stile, ritornando sui canoni dello Yakuza-Eiga tradizionale. 

Le scene si strutturano con i classici e sempre apprezzati establishing shot, incentrati su di una Tokyo notturna accattivante complici anche le varie luci al neon. 

 

In questi frangenti si articola anche un focus narrativo chiaro, peccato però che risulterà essere una sorta di McGaffin hitchcockiano inoltre minuto dopo minuto il regista inserisce chicche di alta classe come le inquadrature ad effetto cornice che tendono ad imprigionare i personaggi in scena enfatizzando al meglio la loro condizione: il protagonista non vorrebbe più essere uno Yakuza ma una volta entrati in questo mondo difficilmente si riuscirà ad uscirne. 

Il tutto poi conflagrerà con il secondo omicidio dove oltre ad una regia ricercata -inquadratura a piombo unita all’effetto cornice- troveremo scenografie pop e surreali (Suzuki privilegia il color giallo e rosso).

 

Tokyo Drifter presenta una completa destrutturazione del genere e solo il protagonista spera ancora in una sorta di codice morale del criminale, dovendosi però ricredere nel finale. 

Certamente se analizziamo attentamente i personaggi, ci sono dei soggetti che appunto rispettano un cifrario etico ma non si trovano alla catena di comando mentre coloro che detengono il potere si riveleranno tutti personaggi negativi, avidi, il cui interesse primario è il denaro rinunciando facilmente all’onore e alla fedeltà, comandamenti basilari dello yakuza classico.

 

Tokyo Drifter presenta anche un’interessante ibridazione di generi; accattivante la sequenza in cui il protagonista si rifugia in un villaggio innevato, qui Suzuki mescola chambara e western rendendo la scena volutamente anacronistica oppure impossibile non citare la lunghissima scazzottata al saloon (supera i 4 minuti). Il film a tratti è pure nichilistaanticipando addirittura alcune tematiche riprese molti anni dopo da Takashi Miike e Takeshi Kitano.

 

Capolavoro imperdibile.

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