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L'eredità

Regia di Per Fly vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'eredità

di Oss
10 stelle

Voglio subito dissipare un possibile fraintendimento.

Non è un film sul capitalismo ma sulla natura del potere. Non è un film sull'aridità e l'ipocrisia delle famiglie dinastiche, ma sull'inevitabile e necessario (e sottolineo necessario) abbruttimento dell'anima delle persone che decidono di scalare e gestire il potere.

Questo per rendere onone al film. 

In una scena chiave, la madre confessa al figlio di averlo voluto alla guida dell'azienda di famiglia perchè lei e lui erano uguali: forti e adatti al compito, e gli dice di non dispiacersi per l'abbandono della moglie: lei non era fatta per lui.

L'essenza del film sta qui: non è vera la prima cosa e non è vera l'altra.

Il protagonista è una persona mite (perdona il tradimento della moglie dopo una notte) e schiva (si era allontanato dall'ambiente famigliare proprio perché in passato aveva sofferto lo stress delle responsabilità) ma quando per ragioni imperscrutabili alla morte del padre accetta di riprendere in mano la gestione dell'azienda famigliare, porta avanti con lucidità e senza pentimenti il suo ruolo di potente padrone del destino proprio e di quelli altrui, che lo porterà al totale ripudio degli affetti dei propri cari, della lealtà verso gli amici e alla solitudine più assoluta. 

Il suo dunque non è il percorso non di una persona famelica, arrivista di natura, ma di una persona qualunque che accetta consapevolmente di piegarsi alla volontà del potere.

La scena del quasi stupro della cameriera è il suggello finale della sua scelta: la ristrutturazione aziendale è completata, potrebbe tornare insieme alla moglie alla sua vita precedente, ma non lo fa, perché chi arriva al potere non può più lasciarlo (non rinunciarvi: lasciarlo).

E' una presa di coscienza, come ho detto, consapevole, ma anche dolorosissima. La scena seguente dell'ubriacatura è lo sfogo di un uomo che si rende conto di avere perso per colpa la moglie e il figlio.

Ecco il rimpianto più grande: di avere rinunciato (questa volta il termine è corretto) all'unico vero amore, ricambiato, della sua vita. Una rinuncia fatta con grosso rimpianto, ma senza alcun pentimento.

Da qui in avanti ogni gesto diventa quasi trascurabile: il perdono del cognato, che è funzionale solo alle dinamiche famigliari, e, nel finale, il mancato appuntamento con la moglie, nella disperazione di lei e nell'impassibilità, ancora una volta consapevole ma certamente dolorosa, di lui.

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