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Che ne sarà di noi

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Che ne sarà di noi

di scapigliato
8 stelle

Bollarlo come "film cartolina" sarebbe sbagliato. Ho 25 anni, e le mie vacanze assomigliano in parecchi punti a quelle raccontate nel film. Ma questa sarebbe solo una lettura semplicistica e puramente "turistica" del film, che vuole invece, secondo me, teorizzare non solo il fantapolitico disegno di Muccino con ministri di vent'anni, ma anche il disegno di uno svecchiamento più generale. Uno svecchiamento rabbioso, incodificabile, "on the road". Quall'andare, andare, andare e andare che è il liet motiv della pellicola, mi ricorda l'inconfondibile messaggio del grande Jack Kerouac che dice che nella vita l'importante non è arrivare, ma andare. Ed è un principio che mi sono inniettato nel sangue da tempo ormai. Ecco perchè non riuscirei a banalizzare il film di Veronesi, come l'ennesimo on the road-formativo per adolescenti: un mix tra "Panarea" e "L'ultimo Bacio" versione teen. Sarebbe un grosso errore.
Partiamo anche semplicemente dal fatto che è divertente. E' una commedia simpatica, che mi ha divertito, forse complice anche la simpatia che creavano i protagonisti. Ma questa atmosfera vacanziera, che sento ancora viva in me perchè non si fa altro che vivere tutto un anno in attesa di agosto e delle vacanze, è solo lo stile allegro e vicace, solare e giovane, con cui regista e sceneggiatore (Muccino) volevano raccontare di quello che io definirei, sperando di non dare al film un'interpretazione troppo cerebrale, il nostro spazio-interiore. Quello che non si vede ma c'è. Quello in cui corrono i cow-boy nei western; quello degli avventurieri quando sbarcano su terre lontane; quello dei giovani braccati da un killer metafisico e non; insomma... quello spazio nostro e solo nostro in cui vive, dorme, e spesso purtroppo vegeta, tutto il nostro universo emozianale e propositivo. L'on-the-road come il western, quindi? Certo, anche perchè lo è sempre stato.
Qui, la vacanza che è più "partenza", non va letta solo così semplicemente, ma va vista come un topos attraverso il quale gli autori e gli attori hanno cercato di rappresentare inquietudini, gioie, e speranze tipiche di ognuno di noi. Perchè non c'entra l'età, assolutamente, è tutta una questione di teste e di cervelli: ci sono quelli che invecchiano e si autoreprimono, omologalizzandosi; e ci sono quelli che, come me, fuggono, scappano e si rifiutano di farsi inscatolare.
Ma il film ti entra dentro anche e soprattutto grazie ad un attore in particolare, che mi è sempre piaciuto, e spero che per questo ruolo riceva diversi riconoscimenti. Si chiama Elio Germano, e insieme ad altri giovani e bravi (Brando De Sica, Riccardo Scamarcio) vale molto di più di tutti i 30-40enni del nostro cinema, che non sanno assolutamente cosa vuol dire essere immediati, fresci e carismatici. Ci sono attori che si fanno troppe masturbazioni mentali per dar vita a personaggi troppo lampadati, troppo sottoriflettorizzati e teatrali. Consegnandoci così delle figure assenti, che non ci entrrano dentro. Quanto vorrei recitare con quei tre... e quanto vorrei che il cinema italiano ci considerasse di più.

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