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Mio zio

Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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La recensione su Mio zio

di michel
10 stelle

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Il cognato vorrebbe sistemarlo ma Hulot e la fabbrica di materie plastiche sono incompatibili. Tati divide il film (e il mondo) in due regioni: un paese a misura d'uomo, lento, magmatico e vitale regolato dai sentimenti e una città tecnologica, fredda e triste dominata dal lavoro e da una ritualistica insensata. Il confine non è del tutto impermeabile ma pur sfiorandosi i due luoghi non si capiscono, qualcuno perirà. Tati chiude con una nota amara e una ottimista. La convivenza con le macchine può renderci infelici ma non ha ancora ucciso il bambino che è in noi, cioè gli anticorpi capaci di tirarci fuori dalla follia nella quale ci siamo cacciati. Tati riesce a tradurre le idee in oggetti, gesti e suoni inventati, grazie alla straordinaria acutezza con cui registra la realtà quotidiana. La finzione non è mai gratuita ma diventa una lente di ingrandimento che ci consente di vedere con occhio critico e ironico ciò che accade (continua ad accadere) attorno a noi. Tati ci ripaga della concentrazione che il suo film, senza storia spesso ripreso in campo lungo quasi muto, richiede lasciandoci una delle visioni più lucide e persistenti della modernità. Le trovate memorabili non si contano: si va dal registro poetico (l'uccellino che canta solo quando viene raggiunto da un raggio di sole) a quello surreale (la casa che si anima di vita propria e spia Hulot attraverso le finestre). Si resta ammirati, incantati, ci si diverte, qualche volta ci si scompiscia (Hulot nella fabbrica di tubi).

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