Regia di Jacques Tati vedi scheda film
METTETE UN CUORE NEL VOSTRO MOTORE.
Il cognato vorrebbe sistemarlo ma Hulot e la fabbrica di materie plastiche sono incompatibili. Tati divide il film (e il mondo) in due regioni: un paese a misura d'uomo, lento, magmatico e vitale regolato dai sentimenti e una città tecnologica, fredda e triste dominata dal lavoro e da una ritualistica insensata. Il confine non è del tutto impermeabile ma pur sfiorandosi i due luoghi non si capiscono, qualcuno perirà. Tati chiude con una nota amara e una ottimista. La convivenza con le macchine può renderci infelici ma non ha ancora ucciso il bambino che è in noi, cioè gli anticorpi capaci di tirarci fuori dalla follia nella quale ci siamo cacciati. Tati riesce a tradurre le idee in oggetti, gesti e suoni inventati, grazie alla straordinaria acutezza con cui registra la realtà quotidiana. La finzione non è mai gratuita ma diventa una lente di ingrandimento che ci consente di vedere con occhio critico e ironico ciò che accade (continua ad accadere) attorno a noi. Tati ci ripaga della concentrazione che il suo film, senza storia spesso ripreso in campo lungo quasi muto, richiede lasciandoci una delle visioni più lucide e persistenti della modernità. Le trovate memorabili non si contano: si va dal registro poetico (l'uccellino che canta solo quando viene raggiunto da un raggio di sole) a quello surreale (la casa che si anima di vita propria e spia Hulot attraverso le finestre). Si resta ammirati, incantati, ci si diverte, qualche volta ci si scompiscia (Hulot nella fabbrica di tubi).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta