Regia di Aleksandr P. Dovzenko vedi scheda film
Poetico affresco sulla coesione tra l’uomo e la natura in un’alternanza di vita e di morte concepita alla stregua di un imperscrutabile fenomeno ciclico, ovvero di un evento naturale celebrato nelle immagini maestose di fieri personaggi, dediti con impegno alla coltura (leggasi anche cultura) di una terra dal fecondo alito vitale. Il lavoro umano è tratteggiato con indiscusso vigore tramite figurazioni scultoree tese ad esaltare l’anima di una volontà granitica in ogni sua minima manifestazione. La poetica autoriale è esternata in suadenti suggestioni liriche di campi di grano plasmati dal vento ed in un turbinio di ruvide pennellate che ci mostrano comunità contadine ribollenti come fiumi in piena di fronte ai drammi della vita. Vigorose sequenze dall’indubbio estro poetico che ci restituiscono il senso di un’inesauribile forza interiore, avviluppandosi e disciogliendosi in un ideale cambio della guardia tra nuove e vecchie generazioni, non privo di drammatici strascichi impressi sulla pelle dell’intera collettività.
Il regista ci immerge in cruenti contrasti generazionali in grado di fungere da detonatori di una vera e propria rivoluzione culturale. Ci trascina in avvolgenti sequenze campestri a montaggio incrociato per illustrare significative contrapposizioni dal pregnante significato simbolico, delineandoci il ritratto di un figlio proteso in un’ardita opera di meccanizzazione, colto in ariose inquadrature sottolineate da poetici piani ravvicinati della macchina da presa, contrapposto alla fierezza del padre intento a fecondare manualmente la madre terra con ansito devozionale. La forza delle immagini è tale da non necessitare minimamente del commento sonoro, peraltro assente del tutto. Anche le didascalie sono ridotte al minimo e d’altra parte l’espressività dei volti ammantati di dignità, sostenuti da ripetuti primi piani e modellati come in nudo marmo da tagli di luce ad elevato contrasto, sono largamente sufficienti a conferire il giusto significato alla vicenda e ad imprimere alla narrazione toni di una drammaticità esasperata ed in taluni punti sviscerarle una sorta di grido disperato come fiamma viva serpeggiante tra dissonanti tonalità espressionistiche. Come primigenia esternazione di dolore mutuato da oscuri presagi di futura, disperata solitudine. Nelle nude, desolate sembianze di chi piange un’irreversibile perdita.
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