Regia di Marco Spagnoli vedi scheda film
Esiste una scuola romana della comicità? Se sì (ma non esiste), allora sembrerebbe essere passata per Petrolini, Magnani, Sordi, Proietti, Panelli, la tv delle ragazze della factory di Dandini, i Guzzanti e soprattutto per Verdone, anfitrione del film e voce narrante. A vedere il film di Marco Spagnoli, documentarista con un discreto curriculum alle spalle, incline a un uso spropositato del drone, il neofita potrebbe farsi l'idea che proprio Verdone sia il nucleo della comicità romana, tanto sono insistiti i riferimenti ai suoi film e alle sue apparizioni televisive. L'(auto)elegia di Carlo Verdone non è il solo neo di un film (rimasto per tre giorni nelle sale) che sembra un compitino svolto alla bell'e meglio, con le consuete interviste affastellate senza un tema portante, a cui contribuiscono anche carneadi del rango di Ilenia Pastorelli, Massimiliano Bruno e Stefano Rapone (sic). Il meglio viene invece fuori - oltre che dalla sorprendente colonna sonora di Tommaso Zanello "Piotta", che culmina nella corale Me ne andavo da Roma di Remo Remotti - dal tentativo di cogliere l'essenza della comicità romana, intesa come tratto antropologico, come ethos, come disposizione allo sberleffo, la sottrazione, il disincanto, l'iperbole. È da questo aspetto che esce un ritratto affettuoso della città, capace di restituire - attraverso una stratificazione di voci, stili e memorie - il tratto fondamentale dell'umorismo romano: quello di riuscire a ridere - e far ridere - delle proprie miserie.
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