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Un chant d'amour

Regia di Jean Genet vedi scheda film

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La recensione su Un chant d'amour

di Utente rimosso (Cantagallo)
8 stelle

25 minuti cult che dal 1950 ad oggi hanno conosciuto prima la clandestinità, poi una ristretta circolazione e infine si sono (forse) affrancati dalle originarie accuse di pornografia, riassorbite nel tempo in un più ampio concetto di erotismo. Di fatto però "Un chant d’amour" ha mantenuto intatto il fascino di opera misteriosa e nascosta, che ancora oggi non ama palesarsi spontaneamente e va quindi cercata e scoperta. E’ inoltre l’unico filmato realizzato dallo stesso Jean Genet, romanziere e drammaturgo che con il cinema ha avuto altri legami indiretti, basti ricordare il suo torbido romanzo "Querelle de Brest" che attrasse l’attenzione di Fassbinder divenendo nel 1982 il soggetto del suo ultimo film.



"Un chant d’amour" nasce sulla base dell’esperienza carceraria di Jean Genet ed è una pellicola in bianco e nero senza dialoghi, intrisa di due elementi che in linea di principio la detenzione nega o mortifica ovvero l’eros e la luce.



Alcuni reclusi sono ripresi nelle loro singole celle mentre una guardia li osserva dallo spioncino: due di loro si desiderano attraverso il muro che li separa, uno balla una danza erotica, un altro esibisce il suo corpo in una posa provocante mentre lo sguardo contemplativo e concupiscente della mdp li osserva come di nascosto. In carcere la negazione dell’amore pesa tanto quanto la privazione della libertà e nell’impossibilità del contatto fisico è l’immaginazione a soccorrere il desiderio: si può amare abbracciando se’ stessi, accarezzando un tatuaggio, raggiungendo il compagno, che a sua volta si strugge nella cella a fianco, soffiando del fumo di sigaretta attraverso un pertugio nel muro, così come accade in una famosa scena di grande poesia. Tutto ciò è ripreso con un incedere quasi onirico ma in modo così vivo e partecipe che sembra quasi improprio parlare di autoerotismo quando la passione ha un nome, è reciproca e condivisa ma impedita soltanto da una parete che separa. Con aperta ammirazione la mdp insiste su colui che evidentemente fra tutti rappresenta l’oggetto del desiderio, ovvero sulla figura del ragazzo che indossa la canotta bianca, indumento ancora oggi appartenente a certo immaginario erotico. Il secondino che li spia è apparentemente l’unico soggetto che gode di libertà, ma ben presto i suoi pensieri lo rivelano soggiogato a quelle stesse fantasie, accomunandolo nell’intimo ai detenuti. Anche quando cerca di rimarcare la sua superiorità, in un tentativo di dominio in cui usa la pistola con significato evidentemente metaforico, in realtà non detiene alcuna alterità, così come conferma il riso beffardo di uno dei reclusi che lo ha capito da tempo.



In cella Jean Genet ha avuto modo e tempo di studiare la luce nella sua geometrica solidità, nel contrasto tagliente con il buio, nel lento movimento che segna le ore del giorno. "Un chant d’amour" è un film fatto di luci e ombre: le superfici ruvide dei muri, la pelle tesa sulla muscolatura giovane, le volute di fumo, tutto emerge dalla penombra per venire alla luce. Anche la cannuccia fumosa, che spunta suadente dal muro per protendersi verso l’amato, viene investita da un rettangolo di luce e getta l’ombra sottile e precisa di una meridiana.

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