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Kitchen Stories - Racconti di cucina

Regia di Bent Hamer vedi scheda film

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La recensione su Kitchen Stories - Racconti di cucina

di OGM
8 stelle

Una nordica storia di uomini soli. Il focolare domestico è un luogo privo di calore laddove non c’è una famiglia: così è per il vecchio Isak, e quando, per un progetto internazionale di ricerca industriale, i suoi movimenti tra i fornelli, il lavandino, la credenza ed il tavolo iniziano ad essere registrati da un osservatore straniero, quella stanza perde, per lui, anche di riservatezza ed intimità, diventando un ambiente estraneo ed ostile. Folke Nilsson, che lo guarda, carta e penna alla mano, dall’alto di un piedistallo, mentre fuma la pipa o si prepara un caffè, è, inizialmente, l’intruso che gli sottrae anche l’ultimo scampolo di libertà personale, invadendo uno spazio che egli è abituato a sentire solamente suo. Tuttavia, mettendosi a sua volta a spiarlo di nascosto,  arriva a scorgere in lui un altro individuo smarrito, inviato in un paese estero a compiere una missione ingrata e priva di senso. L’assenza di radici e di prospettive, che accomuna i due personaggi, finisce così per far scattare, tra loro,  la solidarietà e la confidenza. Tipica del cinema scandinavo è la sensazione di un mondo vasto, ignoto, e forse desiderabile, che si estende da qualche parte là fuori, oltre l’orizzonte, ed è sempre irraggiungibile: agli occhi di Isak, che non si è mai spostato dalla Norvegia, l’ospite svedese è un essere proveniente da quell’aldilà,  di cui dimostra dunque concretamente l’esistenza, demolendone, però, il mito. Ciò che avviene, in quella squallida cucina da single, è la conferma che il povero diavolo è una figura universale, che parla ovunque la stessa lingua fatta di rimpianti e delusioni, ed impastata nella rassegnazione. La sua condizione è dettata da un potere esterno, tanto grande quanto incomprensibile, che vieta ai suoi sudditi di comunicare, e magari di unirsi, dando vita ad una forza potenzialmente ribelle. Le norme procedurali, stabilite dalla ditta che ha commissionato l’indagine, proibiscono ogni interazione tra l’osservatore e l’osservato: una prescrizione che ricorda scenari fantascientifici (vedi Metropolis) o fantapolitici (vedi 1984), in cui la spersonalizzazione è il principio su cui si fonda il funzionamento di una società equiparata ad un enorme ingranaggio, con uomini ridotti a meccaniche pedine. Il contatto umano è un elemento di disordine ed attrito, che può pregiudicare l’efficienza strumentale di un apparato produttivo: e di conseguenza, nel film, Folke viene licenziato per aver socializzato con Isak. I loro colloqui segreti, consumati in una casupola isolata e sommersa dalla neve, vengono comunque scoperti dai vertici della struttura: nella realtà storica, i regimi totalitari esercitano, di fatto, una repressione della libertà che riguarda soprattutto la sfera privata, perché sono i rapporti stretti, familiari ed affettivi, a formare ed influenzare le coscienze, seminando, se incontrollati, il germe della dissidenza. La vicenda di Kitchen Stories rivela, pur in un contesto dimesso e minimalista, la sottile strategia con cui l’umanità autentica riesce, pian piano, ad aprirsi una strada nello sterile schematismo disegnato dall’autorità, camminando, di spiraglio in spiraglio, fin dentro le profondità del cuore. Bent Hamer  con questo film dimostra – come anche con FactotumO’Horten – di nutrire una genuina passione per i personaggi che amano la vita da un’angolazione solitaria e clandestina, e si chiamano fuori dalle regole del mondo proprio per poterla assaporare nella pace di uno spirito immune da condizionamenti alieni. 

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