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Europa '51

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Europa '51

di omero sala
5 stelle

 

locandina

Europa '51 (1952): locandina

 

Il cupo film racconta di Irene Gerard (Ingrid Bergman), una borghese ricca e appagata, frizzante moglie di un diplomatico e perno di mille relazioni mondane, ricevimenti, cene, eventi. La giovane donna, in seguito al suicidio del figlioletto di una decina di anni si carica di sensi di colpa per aver sottovalutato alcuni segnali premonitori della tragedia, tenta di prendere le distanze da quello che era il suo microcosmo ordinato, si investe della missione di esplorare l’universo dei derelitti, si immerge nelle miserie materiali e spirituali del proletariato, si redime e indossa le vesti del samaritano.

 

Lo avevo visto, per dovere, qualche decina di anni fa, e non lo ricordavo affatto.  

L’ho rivisto recentemente e l’ho trovato invecchiato, penosamente invecchiato, come certi miei coetanei che incontro per caso e scopro in loro i segni dell’età, ravvisando sconcertato la mia graduale senescenza.Ecco: Europa ’51 mi ha messo addosso una imbarazzante tristezza, una malinconia amara, simile a quel desolato sgomento che mi invade quando mi rispecchio nei miei coetanei.

E mi è venuta voglia di parlarne male, con disappunto, con cattiveria.

Di non perdonare a Rossellini di aver dato un consapevole addio allo splendido neorealismo storico e sociale di Roma città aperta, del 1943, di Paisà, del 1946 e di Germania anno zero, del 1947, per approdare ad un crepuscolare neorealismo psicologico ed esistenzialista, intimista e mistico, partendo da Stromboli, del 1949, passando aquesto filmetto costruito e forzato e approdando al successivo Viaggio in Italia, del 1954, costruendo un’altra trilogia (nota come Trilogia della Solitudine), che ritengo artificiosamente didascalica, cerebrale, svuotata da impellenze espressive, piena di ingenuità utopistiche, sfibrata, un po’ da mestierante. 

A Roberto Rossellini non perdono soprattutto di aver voluto cucire ben tre opere attorno al magnifico corpo e al fascinoso sguardo della sua Ingrid, che venne in Italia per amore suo e del suo cinema e resistette accanto a lui per quasi nove anni, fino al 1957.

Il neorealismo psicologico o interiore, etico ed esistenziale, non era forse nelle corde di un regista che riusciva a costruire trame convincenti solo quando le collocava in una cornice storica lacerante come quella della dissoluzione dell’Italia del ’43 o della disperata condizione di disfacimento della Berlino del ’47. 

Io penso che a Rossellini siano riuscite meglio le storie suggerite da macerie materiali rispetto a quelle ispirate da macerie psicologiche.

In Europa ‘51 il regista non riesce a nascondere del tutto la rigida artificiosità della trama troppo programmata; l’intento didascalico mostra le corde; trapela l’intenzione dimostrativa (a scapito della coerenza narrativa), trasuda la retorica populista, affiora il melodramma che vuol sembrare arcano e riesce ad essere confuso. E appare troppo insistito, quindi noioso, lo sfruttamento della leggendaria espressività del volto della Bergman, sempre sofferto, sempre disorientato, sempre angosciato fino alla fissazione folle e un po’ ebete.

 

Capisco che siano questi silenzi e questi sguardi che bucano lo schermo a segnare la svolta rivoluzionaria nel cinema, portandolo verso le dense emozioni di Antonioni, Bresson e Truffaut. 

Capisco anche l’antideologismo che accompagna la narrazione della crisi esistenziale di Irene, la quale esce e si allontana (e viene espulsa) dal piccolo mondo immobile nel quale ha sempre nuotato e si immerge nella realtà reale come per ritrovare se stessa (e perdersi).

Condivido in parte la sottile critica ai fermenti postbellici di una società incerta fra valori cristiani e istanze marxiste (ma capisco un po’ meno la ossessiva ricerca rosselliniana di un misticismo senza fede).

Apprezzo la capacità di sguardo e di resa del regista e la sua intensa ossessione spirituale che rimanda a Dreyer e condiziona una generazione di registi fino a Pasolini e Scorsese.

Ma, ripeto, non riesco a lasciarmi convincere dalla palese intenzione di Rossellini di ribadire i suoi profondi convincimenti artistici riscrivendo la sintassi filmica e ripercorrendo su livelli altri e dissonanti i sentieri del realismo; guardo con sospetto la sua francescana e studiata presa di distanza dal cristianesimo dominante e dal marxismo storico e il suo tentativo di sintesi eretiche, come a voler indicare strade per la risalita da crisi esistenziali e da disastri epocali e brutali come quelli sfociati nella seconda guerra mondiale; non mi lascio sedurre dai farneticanti proclami sulle magnifiche sorti e progressive dell’umanità liberata dal lavoro alienante; sento un po’ forzate e insincere le manifestazioni di affetto verso ladri e prostitute (una delle quali sembra ricalcata sulle agonie melodrammatiche di Mimì della Bohème); percepisco odore di muffa nella parabola della gran dama pentita, nei sensi di colpa che generano ravvedimenti interiori, perdite di identità e palingenesi sociali (tipo quelle di Simone Weil); non vedo novità nella storia dello straniamento mistico che condensa santità e follia (tipo quello isterico di Teresa d’Avila o, per restare con la Bergman, quello messianico-patriottico di Giovanna d’Arco del film di Victor Fleming,del 1948); non riesco infine a non pensare alla strumentalizzazione della Bergman (Rossellini costruisce una storia su misura per lei, sfrutta l’immensa popolarità della diva, la tiene vincolata sentimentalmente e contrattualmente, si apre spazi nel mercato americano e quindi mondiale del cinema, …).    

Un film denso, certamente, ma forse per questa sua densità, in fin dei conti, patetico ed esagerato.

 

Ingrid Bergman

Europa '51 (1952): Ingrid Bergman

 

 

 

 

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