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Ma 6-T va crack-er

Regia di Jean-François Richet vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ma 6-T va crack-er

di joseba
8 stelle

Sono finalmente riuscito a vedere - rigorosamente in versione originale senza sottotitoli (non li ho trovati) - il tostissimo "Ma 6-T va crack-er" di Jean-François Richet (autore del claudicante "Assault on Precinct 13", remake dell'omonimo capolavoro carpenteriano, nonché regista del doppio film su Jacques Mesrine che spero tanto arrivi anche da noi).

Il film mi è piaciuto moltissimo (tanto quanta è stata la fatica di decifrare lo slang banlieusard "rappato" dai personaggi) e ne straconsiglio la visione: a mia conoscenza è il solo film che parli senza sconfortanti formulette spettacolari della realtà delle cité parigine sul finire degli anni '90.

La recensione sottostante contiene una marea di spoiler, ma che io sappia è la cosa più completa che sia dato reperire in italiano sul film di Richet. Buona lettura.

Regione parigina, dipartimento 77 (Seine-et-Marne). In una scuola, durante l'ora di ricreazione, un ragazzo viene pestato a sangue. Arco, Malik e Mustapha vengono convocati dalla preside: sono stati visti mentre partecipavano al pestaggio, i genitori del ragazzo aggredito hanno sporto denuncia e la polizia aprirà un'inchiesta, ma loro se ne sbattono allegramente. Sera: Jean-Marie, Djeff e Hamouda sono tranquilli su una panchina del parco a fumare e cazzeggiare, quando all'improvviso piomba una macchina con tre membri di una gang rivale che chiedono ragione di un furto subito alcuni giorni prima. Scatta una furibonda rissa in cui gli intrusi hanno la peggio. Si scatena la faida: il giorno dopo Jean-Marie viene inseguito da due ragazzi della banda avversa che gli sparano dietro. Riesce a fuggire e, insieme agli amici, organizza uno scontro a fuoco per il sabato sera, davanti a una discoteca dove si tiene un concerto hip-hop molto atteso dai ragazzi del quartiere. Anche i più giovani (Arco, Malik e Mustapha) si recano al locale notturno, ma, impedita loro l'entrata, si sfogano sfasciando una macchina nel parcheggio di un supermercato. Sopraggiunge la polizia e Malik viene freddato da un agente: esplode la rivolta. Diretto nel 1997 dal trentunenne cineasta parigino Jean-François Richet (anche attore nell'importante ruolo di Djeff), "Ma 6-T va crack-er" è l'autentico manifesto della rabbia e dello scontento della banlieue parigina. Uscito a soli due anni di distanza da "L'odio", il film di Richet è la risposta diretta e brutalmente antispettacolare al fumettone in bianco e nero di Mathieu Kassowitz: attori non professionisti, esperienza di prima mano (il regista è vissuto nella realtà che rappresenta), autenticità dei luoghi (il film è stato girato proprio nel dipartimento 77, comunemente considerato uno dei più pericolosi ghetti della regione parigina) e assoluto realismo fanno di questo film non tanto un esempio di cinéma-vérité, quanto un esemplare unico di "cinéma-armé". "Ma 6-T va crack-er" è così dinamitardo e, per così dire, "ultrà", che è considerato dai politici una delle cause della rivolta delle banlieue del 2005. Inutile prendere sul serio una castroneria simile, meglio concentrarsi sui numerosi pregi del film, che ha il merito di scoperchiare senza ammiccamenti e formulette consolatorie il fermento giovanile, inevitabilmente contraddittorio, che ribolle nelle cité parigine. Caratterizzata da una furiosa coralità, la narrazione segue disordinatamente i percorsi di due gruppi di ragazzi - gli adolescenti e i ventenni - alle prese con i problemi di tutti i giorni: la violenza come solo modo per farsi rispettare, il crescente razzismo della polizia, i rapporti con le generazioni maggiori e, soprattutto, il dominio del territorio. La guerra tra gang armate fino ai denti trasforma la banlieue in gigantesco poligono di tiro e al tempo stesso esprime indirettamente l'incapacità di progettare uno sforzo comune per rovesciare il sistema. Il problema sociale aleggia nell'aria, ma viene subordinato alla logica microcriminale del regolamento di conti, denunciando una drammatica carenza di disegno politico, emblematicamente sintetizzata dalla frase sibilata con tono amaro e sarcastico a Jean-Marie da uno della vecchia guardia: "Tu prima spari e poi rifletti". Questa sconfortante constatazione emerge con sorda potenza anche dal modo in cui Richet conduce il racconto (cosceneggiato insieme ad Arco Descat, che nel film interpreta magnificamente il personaggio omonimo) e gestisce la messa in scena: durante lo showdown nel parcheggio della discoteca, il regista imbastisce un sontuoso montaggio alternato che intreccia immagini della sparatoria a spezzoni di concerto e a flash degli atti di vandalismo a cui si lasciano andare i più giovani Malik e Arco, lasciando che i testi rabbiosamente militanti dell'hip-hop assicurino continuità alla sequenza. Incontrollata e "tribalizzata", la legittima insoddisfazione degenera in distruzione indistinta e, in ultima analisi, in autodistruzione, come testimoniato dal gesto incomprensibilmente suicida di Arco che, invece di battere in ritirata insieme agli altri, si ferma all'improvviso e affronta le truppe antisommossa da solo a mani nude, cadendo sotto i colpi dei manganelli della polizia. Intelligentemente Richet va oltre, prolungando il grido di rivolta - a martellante ritmo hip-hop - al di là del semplice episodio isolato: gli ultimi minuti del film ci mostrano un'altra cité, Gorges-les-Gonesses, teatro dell'ennesimo, assurdo omicidio compiuto dalla polizia ad un posto di blocco. La necessità della diffusione organica dell'insubordinazione alle altre realtà è infine enunciata a chiare lettere da una didascalia che si appella alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino: "Art 35: Quand le gouvernement viole les droits du peuple, l'insurrection est, pour le peuple et pour chaque portion du peuple, le plus sacré des droits et le plus indispensable des devoirs". Rabbia e lucidità politica, lotta e volontà rivoluzionaria, frontalità fisica e consapevolezza: ingredienti necessari per trasformare la bruciante insoddisfazione in urgenza pensante. Semplicemente cruciale per comprendere a fondo la realtà delle banlieue sul finire degli anni '90, il film è dedicato a Virginie Ledoyen, incastonata in chroma key nei titoli di testa (sullo sfondo di immagini d'archivio in bianco e nero di guerriglia metropolitana) e nel prefinale (sullo sfondo di immagini degli scontri del film). Il significato del titolo originale è "La mia cité sta per esplodere".

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