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Caterina va in città

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Caterina va in città

di valerioexist
4 stelle

Paolo Virzì tratta il tema del disagio giovanile (tanto per cambiare) e del confronto politico strillato tra i banchi di scuola. Sarebbe stato facile cadere negli stereotipi, no? infatti Virzì manco si pone il problema e fa del suo film “Caterina va in città” un abnorme agglomerato di luoghi comuni sull’adolescenza a destra e a sinistra. Da far rabbrividire! Protagonista è una famigliola di Montalto Di Castro, gli Iacovoni. Il padre Giancarlo (Sergio Castellitto) è un professore nevrotico, gli stanno sulle palle i suoi alunni bori e ha scritto un libro mezzo porno che non riesce a farsi pubblicare, la moglie Agata (Margherita Buy) è una burina sempliciotta che non capisce le battute e si trova a suo agio solo in cucina; la figlia Caterina (Alice Teghil) è una timida marmocchia con la passione per il canto. La famiglia Iacovoni si trasferisce a Roma, a casa di una zia, e così Caterina abbandona la vita di paese ed il cuginetto ciccione nerd incestuoso per iscriversi al Visconti! Solo che nel film il noto liceo romano è diventato una scuola media… (hanno egregiamente sostituito il cartello con scritto liceo con uno con scritto scuole medie). Castellitto è contento che la figlia Caterina vada a questa scuola perché sa che ci va tutta la Roma bene e siccome lui è un tantinello arrivista spera di trovare qualcuno che gli dia una spintarella per il libro. Una volta a scuola un ragazzino domanda a Caterina se lei sia zecca o pariola, “come?” chiede Caterina, ed il tizio “alternativa non me pari, cotta nemmeno…” eccetera eccetera “forse sei normale…”. Fermiamoci un attimo su questo punto. Mi spiegate in quale scuola di Roma o del mondo si faccia come domanda “sei zecca o pariola?”. Pare che anni di film sui ggiòvani non abbiano insegnato a Virzì che queste cose in realtà non le dice nessuno…oh come so quelle parole che voi ragazzi dite oggi? Zecche? Com’è com’è? Ditemi che ci devo fare un film ggiòvane… com’è? Pariole? Cotte? … ma poi, dico io, che cazzo vuol dire essere “cotta”? Ma dove li ha presi Virzì sti neologismi? Tra quali giovani ha sentito dire “quello è un cotto”, “mi sorella è ‘na cotta”? BAH! La classe di Caterina è scissa in due tipologie di giovani, non esistono le sfumature, a meno che nun venghino da de fòra cume Caterina. Da una parte ci sono le “zecche”: maglietta di Che Guevara, kefia al collo, che dicono sempre cioè in maniera innaturale, sentirle parlare è una mattarellata sulle palle “cioè cioè cioè cioè…”. Dall’altra parte ci sono le Paroline (o fasciste): si, perché per questo film essere fascisti (Mussolini, ventennio, dittatura, onore, patria, famiglia ecc) ed essere pariola (averci i soldi, comportarsi da Paris Hilton, usare espressioni come “allucinante”, “non pòi capì” e fare shopping) è la stessa cosa. Le “fasciste” nei dibattiti politici all’interno della classe, che sembra una versione, appunto, viscontina, dei salotti di Porta a Porta, si autodefiniscono fasciste (!), sono stupide come capre e anche loro istigano alla violenza dello spettatore che, dopo cinque minuti di dialoghi di “Caterina va in città” sente il bisogno di rintracciare le giovani attrici e massacrarle sotto casa.
La sagra del luogo comune: Caterina diventa amica di Margherita (la leader delle zecche, la quale, nonostante il nome che ricordi molto Rutelli, è molto più “kompagna”). Quale mai potrà essere l’ambiente dove vive Margherita? Casa grande al centro, famiglia ricca, stanza piena di graffiti (ma perché?), fumo d’incenso, musica a tutto volume, poster di Che Guevara (Virzì sceglie sempre l’inaspettato per i suoi personaggi eh?). La madre di Margherita è una spocchiosa intellettualoide di sinistra, viso sempre mesto, sigaretta fatta a mano, sciarpa anche tra le mura di casa, pessimo rapporto con la figlia che non le parla (ma senza una ragione, giusto perché è ggiàvane e ribelle) e separata dal marito: un vecchio fricchettone strafatto che vive in campagna con la ragazza giovane e con un figlioletto neonato. Margherita è felice di aver incontrato una persona come Caterina che ancora non è omologata come il resto della classe (mentre invece lei!!). Il giorno dopo le regalerà una kefia (sempre per quel fatto che Caterina è bella perché non si omologa).

Le due diventeranno amiche in maniera sempre meno etero (specie da parte della zecca che immagino il regista abbia voluto rendere saffica in alcune scene giusto perché i comunisti difendono i gay e quindi essere eterosessuali, forse, è una sorta di razzismo inconscio…) ed andranno insieme anche alle manifestazioni per la Pace dove troveranno Benigni che, ovviamente, conosce già Margherita, per far capire che lei non era l’ultima delle zecche, ma una talmente dentro l’ambiente che a tredici anni già aveva avuto modo di fare la conoscenza di Roberto Benigni. Ho come l’idea che qualche mafioso sia andato a casa di Paolo Virzì dicendogli “se ti lasci scappare un qualsiasi luogo comune sulle comuniste, ti facciamo fuori!”. Castellitto è felice che Caterina frequenti la zecca perché la di lei madre, essendo una specie di scrittrice, traduttrice, editrice, potrebbe aiutarlo a pubblicare il libro. Caterina e la zecca mangiano assieme in casa Iacovoni, la zecca usa espressioni come “bella!” anche quando la situazione non lo richiede affatto (lo dice al posto di “grazie” quando Castellitto porta loro da mangiare) e poi, per manifestare il suo gradimento verso il cibo offertole dice “oh, sto polpettone è un taglio!” (non mi va di bestemmiare sulle mie recensioni, perciò non scriverò quello che dissi mentre sentii questa frase insensata messa giusto per dare l’idea di slang comunista giovane ed inesistente). Castellitto da alla zecca una copia del suo libro per farlo dare alla madre, lei ovviamente non glielo da (per non stare al gioco dei matusa immagino). Giorni dopo Castellitto va a prendere Caterina a casa dei comunisti e troverà la figlia ubriaca e tatuata (le cose che fanno i comunisti no? santo cielo) e si incavolerà con loro, con la zecca, con la madre intellettualoide e pure con Michele Placido che era lì nel ruolo di se stesso… oh mamma!
Delusa dai comunisti, Caterina inizia a uscire con le “fasciste” (mi diverte pensare a delle ragazzine di tredici anni che si ritengono proprio “fasciste”, è geniale!). Così inizia a frequentare Daniela, la parolina insopportabile figlia di Manlio Germano, un parlamentare di Alleanza Nazionale interpretato da Claudio Amendola. Dunque, le paroline sono quasi più insopportabili delle zecche, usano intercalari come “non pòi capì” anche quando uno “po’ capì” benissimo, oppure “alluscinante” anche quando ciò di cui parlano non è allucinante manco per il cazzo “oh dobbiamo uscire stasera allucinante, non pòi capì…”. E se Margherita la comunista c’aveva la casa bella in pieno centro, dove poteva vivere Daniela, la piccola pariola viziata? In una casona con terrazzo? No! in una villa con piscina? Maddechè! Virzì vuole come al solito esagerare! La famiglia Germano vive in un CASTELLO! Si, in un castello vero e proprio; e Caterina, quando va a trovare l’amica, trova una specie di segretaria (che parla in diverse lingue con l’auricolare) che controlla gli appuntamenti della figlia (ho capito, il padre farà il parlamentare, ma una ragazzina di tredici anni che cazzo ci deve fare con la segretaria). Che altro… i mafiosi ancora minacciavano Virzì per i pochi luoghi comuni… ha sentito quindi il bisogno di mettere qualcosa di più… dunque. Famiglia di destra… ragazzine che si autodefiniscono fasciste… … ma certo! Facciamo che, siccome so' fasciste, so' pure da'a'a'alazzio ... ma soprattutto... Facciamo che il padre di Daniela debba andare ad un matrimonio di famiglia nella sua città d’origine… e quale può essere se non LATINA (anzi, LITTORIA)? Ma si! E quindi via col matrimonio fascista con la gente che inneggia al duce e canta canzoni del ventennio con un Amendola imbarazzato del fatto che la gente di destra ancora fa ste cose (infatti poi si lamenterà con l’autista dicendo “si, vabbè però so’ un po’ ragazzini… ancora co sto duce…”). Il povero padre di Caterina, l’unico che sia come attore che come personaggio non mi ha mai infastidito, cerca di farsi pubblicità andando al Maurizio Costanzo dove tra uno sguardo esterrefatto di Maddalena Corvaglia (!) e il solito interrompere del trichecone demmèrda, impazzirà in diretta facendo una figura meschina. Le paroline intanto iniziano a sparlare di Caterina dicendo che si veste… “antica” (Virzì ti ricordo che quest’aggettivo non si usa, è come l’aggettivo “popolare” usato per dire chi non è sfigato) e che si veste come un’extracomunitaria (ah già, le ragazzine so’ fasciste, quindi paragonano ciò che non gli piace agli extracomunitari).

Caterina si incazza con le pariole e, nel cortiletto del Visconti, avviene una rissa tra la zecca e la fascia. Convocano i genitori (Amendola, il fricchettone e Castellitto) e tutto a posto, tranne per Castellitto che si rende conto che sia a destra che a sinistra so’ tutti stronzi uguali e trattano la gente demmèrda.
Caterina, dopo essere stata sedotta e abbandonata da un coglione con la nasca enorme pariolino che l’ha dovuta lasciare sotto suggerimento della zia snob (santoddìo), e dopo i problemi con le amiche e con la famiglia, scappa di casa, e conosce il ragazzetto fiGo che le abita davanti. Il ragazzetto fiGo parla inglese e c’ha l’accento alla Stanlio & Onlio, lui da casa sua spia tutto quello che succede a casa di Caterina. Si innamorano un po’.

Questo film m’ha messo un’amarezza alla fine quando il povero Castellitto se ne scappa di casa con la moto aggiustata avendo scoperto che la moglie burina c’aveva le storie con l’amico d’infanzia (ma perché Margherita Buy nei film tradisce sempre?). Sopportabili solo le scene tra Castellitto e la Buy, in un paio di momenti le uscite dei genitori di Caterina strappano persino qualche sorriso (come richiesto da una commedia).

Per il resto: il film è un’accozzaglia di clichè giovanili, un quadro dell’adolescenza irreale e parossistico, una visione della politica diseducativa e fastidiosa. Scritto per attrarre i giovani, il modo in cui loro parlano, si vestono e si comportano è innaturale e ruffiano come la copia del Manifesto che Castellitto porta con se quando va a prendere la figlia a casa di Margherita per abbonirsi la famiglia.
Fascisti, parioli, nazisti, coatti, cotti, zecche, alternativi… fate come Caterina…
andate in città!

[oh, questo polpettone è divertente!]
Voto: 4


VL

http://tuttattaccato.splinder.com

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