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Va' e vedi

Regia di Elem Klimov vedi scheda film

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La recensione su Va' e vedi

di ilcausticocinefilo
10 stelle

 

 

Non tutti i popoli hanno diritto ad un futuro.

 

Avvicinatevi e guardate, guardate con attenzione. Spesso si ha la tendenza a volgere lo sguardo, a dimenticare, rimuovere, passare oltre, a fronte di poca o nulla riflessione, ed è così che spettri del passato riescono a riemergere, riaffiorare, per allungare nuovamente le loro spire sul presente, in un ciclo infinito e apparentemente senza vie di scampo. Ed ecco la necessità quindi d’avvicinarsi e guardare e riflettere. La visione non risulterà affatto idilliaca, rassicurante e confortevole, ma proprio per questa ragione è immancabile.

 

Anche se finché gli uomini rimarranno preda dei medesimi istinti faticherà a cambiare lo stato delle cose, tuttavia il solo riflettere è più di quanto si faccia abitualmente. Anche al cinema. Non a caso, molti – troppi – film bellici finiscono per farsi ben presto ignominiose glorificazioni di ciò che dovrebbero avversare e respingere.

Le solite, vecchie retoriche (onore, coraggio, dovere, patria, famiglia…) rialzano puntualmente la testa, la narrazione si riduce ad un crogiolo di banalità, omissioni, vaneggiamenti e semplificazioni a sfondo più o meno smaccatamente propagandistico (perché – notoriamente – ogni società necessita d’un mito cui aggrapparsi al fine di affrancarsi dalla verità della propria brutalità).

 

 

 

 

Tutto questo, però, è impossibile dirlo del film di Klimov, almeno che non si sia in malafede. Non v’è qui spazio per retorica e scempiaggini galvanizzanti, “gesta eroiche” e gloriosi trionfi, ma solo e unicamente per la realtà ultima della guerra – di qualunque guerra. La realtà appunto spesso ignorata o resa fuggevole e imponderabile, in quanto incapace di nutrire il desiderio di magnificazione e rimozione.

Difficile immaginare opera più diretta, inflessibile, onesta e inarrestabile nella sua rigorosa demolizione di qualsivoglia usuale narrazione ammantata di grandi idealità e profondissimi moventi, con l'obiettivo di far emergere l’insanità, la pazzia, il delirio, la crudeltà, la ferocia, l’insensatezza, l’odio: appunto, la realtà ultima di qualunque conflitto.

 

Ben al di là della coltre fumogena dei luoghi comuni e delle versioni anestetiche e rincuoranti… ci dice: venite e osservate attentamente, e non distraetevi… Ecco, un attimo di felicità, un sorriso imbelle e innocente che si squarcia in un urlo disperato per poi spegnersi in un rantolo soffocato. Un ingenuo sogno d’amore, gioia e libertà annegato in un rivolo di sangue. Passioni, desideri, speranze che se ne vanno via in una coltre di fumo, persi per sempre. Venite a vedere, e no, non voltatevi.

La cruda realtà si fatica a mandarla giù, vero. Infatti è sempre molto più conveniente guardare dall’altra parte. La realtà non è un bello spettacolo, non conferma le magniloquenti retoriche, non fa grandi le nazioni e gli individui, non glorifica l’umanità, non gonfia l’animo d’orgoglio. La realtà destabilizza e incrina; la verità celata dietro la retorica è sufficiente a spazzar via ogni illusione. Niente eroi e niente vittorie esaltanti, solo la quotidiana presenza della morte, della distruzione, della sofferenza più assoluta.

 

 

Ancora più agghiacciante, l’indifferenza. La completa indifferenza nei riguardi dell’altrui sofferenza, dell’agonia di persone ritenute indegne di vivere, o comunque ridotte a meri ostacoli, nemici, pupazzi dei quali si può disporre a piacimento; persone ridotte a numeri da sfoltire. Uomini, donne, bambini, adulti o anziani, non fa alcuna differenza. D’altronde, non sono realmente umani, né realmente “meritevoli”: non sono “come noi”, sono altro. Direttiva 46, Lebensraum, spazio vitale.

Non tutti i popoli hanno diritto ad un futuro”.

 

La resistenza può e deve esistere, ma è impossibile razionalizzare, impossibile rimanere indenni di fronte alla follia bellica. Nessuno sarà più lo stesso (forse neppure lo spettatore), niente sarà più come prima. La salvezza non esiste, il futuro non offre prospettive, non per questi uomini e queste donne almeno.

Un ragazzotto ancora imberbe diventerà subito adulto e poi vecchio, perderà il senno, lo recupererà (?), ma sul suo volto rimarranno per sempre i segni di ciò che è stato. Di quando si trascinava follemente nel pantano, di quando le raffiche dei proiettili sibilavano sinistre sopra la sua testa, di quando si ritrovava a vagare senza una meta, passando da uno strazio all’altro. E poi di quando riprendeva di volta in volta la marcia, verso un domani sempre incerto, annaspando nel fango, tutt’intorno una natura arcana e indifferente…

 

 

Dalla visione si esce segnati. Va’ e vedi possiede una forza viscerale che ha pochi eguali, una “pura”, ferina, sconvolgente e destabilizzante potenza delle immagini quasi indescrivibile. La cinepresa che “bracca” i protagonisti trascinandoli insieme allo spettatore in un abisso senza fondo di angoscia e sofferenza. Quei primi piani che restituiscono tutto l’orrore più di mille parole, in un’espressione solo accennata, in quelle pieghe del viso, in quelle ombre scure sotto gli occhi. Una pioggia di bombe che interrompe una quiete effimera, un capanno stipato consumato dalle fiamme e un cielo oscurato dalla spessa coltre nera proveniente dalle devastazioni.

Un tour de force, per il protagonista (bravissimo) e per chi guarda. Un film imprescindibile, una radiografia dell’umanità, di quel che è stato e di quel che potrebbe ancora essere. Un vertice assoluto della cinematografia anti-bellica. Grazie alle modernissime tecniche di riprese di Klimov (oltre ai primissimi piani, le lunghissime riprese in steadicam che non concedono tregua [e si aprono ad invenzioni inaspettate, come nel finale con la cinepresa che si tuffa irrefrenabile nel mezzo dell'oscurità opprimente dei rami attraverso cui filtrano labili le sagome di uomini che si muovono arrancando verso un fosco destino]) e alla tessitura sonora che solo in conclusione si “scioglie” sulle note dolenti della Lacrimosa di Mozart, il film se possibile acquista ancora maggior forza.

 

Nessuno viene risparmiato (il protagonista, chi lo aiuta, Glasha [il breve incontro sul finale col fischietto è forse una dei momenti più lancinanti], gli infermi, i contadini, i neonati, i vecchi…). Nessuno, come detto. E al termine della visione si giunge devastati, ma con una ferma consapevolezza: quella di aver assistito ad un capolavoro, ad uno di quei pochissimi film che nel loro descrivere la realtà cosi com’è senza alcuna infiorettatura ci portano ad interrogarci su di noi, sul genere umano, su ciò che abbiamo fatto e continuiamo a farci, e su quello che faremo in futuro. Perché non impariamo mai dai nostri errori, ed ogni lampo di speranza risulta essere effimero se non addirittura un semplice miraggio.

628 villaggi distrutti. 1/4 della popolazione bielorussa sterminata in appena 3 anni. 1/4. In proporzione, la peggior carneficina della Seconda guerra mondiale. 1,5 milioni di morti. Su una popolazione di 7.

 

 

 

 

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