Regia di David F. Sandberg vedi scheda film
Originariamente un videogame della Supermassive Games di Sony per Playstation, Until Dawn - fino all'alba è prodotto proprio dalla Sony con la sua PlayStation Productions, sussidiaria che da qualche anno si occupa di portare sul grande e piccolo schermo i proprio prodotti, a partire da Uncharted e Gran Turismo e arrivando a produrre anche serie TV come The Last of Us e Twisted Metal.
Merito dell'enorme volume di denaro prodotto dai videogiochi, soprattutto, ma anche del cambio generazionale che ha portato molti giocatori a entrare negli uffici di Hollywood anche con ruoli di comando, così come anche molti registi e attori cresciuti negli anni con quegli stessi giochi.
Ma come hanno dimostrato anche alcuni recenti fallimenti, si tratta di un’operazione di adattamento tutt’altro che semplice in quanto non è sempre facile azzeccare il giusto bilanciamento tra i due differenti medium, così simili ma anche così diversi.
Until Dawn, in questo senso, si è rivelato un bel problema.
Il gioco, di ampio respiro cinematografico, verteva sulla possibilità del giocatore di effettuare scelte che avrebbero cambiato il corso degli eventi, modificandone il percorso e chi e/o quanti dei protagonisti sarebbero riusciti a sopravvivere, permettendo così al giocatore di scrivere di suo pugno (!?) la storia.
O almeno nell’arco delle diverse variabili prestabilite dal gioco, ovviamente.
Come rendere tutto questo su grande schermo?
Gli sceneggiatori Blair Butler e Gary Dauberman, autori dei due capitoli di It e del recente Salem’s Lot, insieme a Blair Butler, autrice di The Invitation, e allo stesso regista David F. Sandberg (quello di Lights Out, il corto poi promosso a lungometraggio, e successivamente del secondo Annabelle e dei due Shazam per la DC Films) decidono di puntare non tanto sul genere dello slasher quanto piuttosto sulla sua declinazione metanarrativa iniziata da Scream e proseguita poi, ad esempio, con Quella casa nel bosco di Drew Goddard, di cui Until Dawn ripropone molte (troppe?) similitudini.
La sua forma cinematografica viene messa al servizio di uno sregolato citazionismo, che passa per il cinema di Sam Raimi (La Casa) a quello del Venerdì 13 di Sean S. Cunningham, con citazioni dal Cube – Il cubo di Vincenzo Natali e da Finché morte non ci separi di Tyler Gillett & Matt Bettinelli-Olpin, fermo restando che tutta la storia si basa su .un meccanismo narrativo che, in realtà, viene svelato praticamente già dal trailer.
E nonostante l'abbuffata di horror metacinematografici qui riportata in vita, l’idea iniziale poteva comunque sembrare buona ma l’esito si dimostra purtroppo non all'altezza delle intenzioni.
La tensione latita, tra jumpscares telefonati e un linguaggio troppo cartoonesco, anche a causa del montaggio ma, soprattutto, di scelte registiche non particolarmente efficaci, anche in funzione proprio del suo meccanismo originale, sortendo invece l’effetto contrario e lasciandola in balia di situazioni già (stra)viste e/o dell’accumulo indiscriminato di (troppe) citazioni (spesso addirittura fuori luogo), a cui si aggiunge un ritmo non proprio altissimo e a un background al limite dell'aleatorio, persino per gli standard del genere e tipica di troppi horror adolescenziali (che poi, se vogliamo, è proprio il target di riferimento del prodotto).
A questo si aggiunge un cast di attori giovanissimi (Ella Rubin, Odessa Adlon, Michael Cimino, Ji-young Yoo, Maia Mitchell, Belmont Cameli e un Peter Stormare con il pilota automatico) ancora troppo acerbo e una storia che intrattiene (?) senza però mai cercare davvero qualcosa di più, forse perfino troppo consapevole dei propri limiti e difetti, a cui si arrende senza neppure combattere.
VOTO: 4,5
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