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Il maestro

Regia di Andrea Di Stefano vedi scheda film

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La recensione su Il maestro

di YellowBastard
7 stelle

Presentato fuori concorso all’82esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Il Maestro è il quarto lungometraggio del regista romano Andrea Di Stefano che, dopo l’apprezzato L’ultima notte di Amore, torna a collaborare con Pierfrancesco Favino per una produzione firmata Indigo Film e Indiana Production insieme a Sky e Vision Distribution con una sceneggiatura scritta dallo stesso regista insieme a Ludovica Rampoldi e con la fotografia di Matteo Cocco, il montaggio di Giogiò Franchini e le musiche di Bartosz Szpak.

 

Il maestro (2025) di Andrea Di Stefano - Recensione | Quinlan.it

 

Prendendo spunto dalle sue imprese tennistiche da ragazzo (e da suo padre), Andrea Di Stefano abbandona per una volta il genere crime frequentato con successo in passato e, ispirandosi alla classica commedia all'italiana, con quest’opera realizza un road movie di impostazione sportiva che ricorda e omaggia soprattutto Il soprasso di Dino Risi usando il tennis per raccontare, al contrario di tante altre pellicole (soprattutto americane), la poetica della sconfitta, di ferite da rimarginare e la sofferenza della crescita in un mondo, anche cinematografico, che tende invece a celebrare sempre e soltanto la vittoria.

Una commedia dagli inserti drammatici che insegna ad accettare la sconfitta, tanto nel tennis quanto nella vita purché arrivi in maniera attiva e mai passiva ma, sotto la superficie sportiva, Il Maestro indaga soprattutto la fragilità dei legami familiari e la difficile ricerca di un equilibrio emotivo.

 

Il tennis diventa quindi metafora di vita e usa lo sport come pretesto per parlare d’altro (di inadeguatezza, ossessione, amore o paura) mentre il passaggio dai regionali ai nazionali corrisponde a quello dalla fanciullezza all’età adulta.

Del resto, il tennis si presta benissimo alle metafore esistenziali per una storia di crescita (quasi?) impossibile da separare agli anni fatidici dell’adolescenza e in cui la commedia viene in soccorso nel raccontare il rapporto fra maestro e allievo, con il primo che, come un mentore, inevitabilmente dovrà imporre la sua giurisdizione anche fuori dal campo di gioco, trasformandosi in un secondo padre, o almeno impartire qualche buona lezione di vita.

Ma cosa succede se il mentore è un cialtrone che vive di espedienti, appeso a un passato con qualche vittoria e a un talento sprecato, e il ragazzino si dimostra invece molto più responsabile dell’adulto?

 

Il Maestro - Film (2025)

 

Un legame archetipico, quello fra i due, ma ribaltato in cui è il più giovane il più maturo, bloccato però da una naturale paura di crescere e di prendersi delle (troppe?) responsabilità, molte delle quali neppure sue, ma anche di padri che vorrebbero esserlo ma non sanno come o lo fanno nel modo sbagliato.

L’uno è irresponsabile e sregolato, l’altro vittima del rigore paterno, uno stile del tutto incontrollato del primo si contrappone all’eccessiva regolamentazione del secondo e alla paura di rompere le regole abbracciando una sfrontatezza, nel gioco come nella vita, che per il suo maestro, pur tra alti e bassi, è invece sinonimo di (indipendenza?) libertà.

 

Di Stefano confeziona un saggio (!) sulla depressione e sulle catene che bloccano sia adulti che giovani, a fronte del quale è impossibile non (emozionarsi?) schierarsi e lasciando al pubblico la facoltà anche di disinteressarsi dei risultati sportivi, liberandosi quindi di etichette quali vincente e/o perdente, per interessarsi invece di tutt’altro.

Opposti che si incontrano, si conoscono e si insegnano a vicenda, il maestro di (vita?) tennis affronta i fantasmi del passato che lentamente riaffiorano mentre l’allievo sperimenta per la prima volta la possibilità di scegliere, scoprendo la possibilità di essere finalmente (completo) sé stesso.

 

Il Maestro recensione – Pierfrancesco Favino nel film di Andrea Di Stefano  tra tennis redenzione | Sky TG24

 

Pierfrancesco Favino conferma, dopo L’ultima notte di Amore, la splendida sintonia trovata con Di Stefano regalandoci un personaggio che ricorda i nobili cialtroni che la commedia all’italiana (quelli interpretati da Vittorio Gassman su tutti) e di cui è inevitabile creare confronti, del quale per altro riesce, soprattutto nella prima parte, a uscirne piuttosto bene.

Cosa tutt’altro che scontata.

Lo accompagnano il giovanissimo debuttante Tiziano Menichelli (bravo) e Giovanni Ludeno, Dora Romano, Valentina Bellè, Astrid Meloni e una rediviva Edwige Fenech.

 

VOTO: 7

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