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Paternal Leave

Regia di Alissa Jung vedi scheda film

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La recensione su Paternal Leave

di barabbovich
6 stelle

La quindicenne Leo (Grabenhenrich, impressionante per naturalezza e bravura) ha una madre sufficientemente distratta da non accorgersi che la figlia ha lasciato la Germania alla volta dell'Italia. Destinazione: una Ravenna balneare in versione grigio piombo, fuori stagione e fuori dal tempo. Lì, da qualche parte tra una pensioncina chiusa e un fenicottero gonfiabile, lavora Paolo (Marinelli, tornato alle sue prestazioni più intonate), istruttore di surf e padre biologico ignaro e riluttante. Quando Leo si presenta alla sua porta (quella di un camper), la sua vita - già provvisoriamente in bilico tra una nuova compagna e una bimba piccola - si sgretola con la delicatezza di un castello di sabbia al primo vento di bora. Lei vuole un padre, lui un'uscita d'emergenza. E tra gite silenziose, dialoghi stentati e sguardi obliqui, si avvia un goffo apprendistato reciproco alla genitorialità e all'adolescenza.
Girato con austera eleganza da Alissa Jung (nella vita, moglie di Marinelli), Paternal Leave è un dramma intimo che trova nel plumbeo litorale romagnolo una scenografia perfetta: cupa, svuotata, malinconicamente fotogenica. Ma se il film merita (a stento) la sufficienza è soprattutto grazie alla prova maiuscola dei due protagonisti, Marinelli e Grabenhenrich, impegnati in un racconto di formazione a ruoli rovesciati: lui eterno Peter Pan, lei figlia ribelle e volitiva con istinto materno riversato nella sorellanza. I loro duetti, tra impacci, domande inquisitorie, tenerezze e qualche raro acuto che spezza il ritmo soporifero del film, tengono in piedi una storia che però rischia di affondare sotto il peso della sua stessa lentezza. Sì, perché il primo lungometraggio della regista tedesca si prende tutto il tempo del mondo (e dello spettatore), indugiando continuamente sul contesto, che assurge a vero coprotagonista. I silenzi si accumulano, le inquadrature si fanno sempre più composte, come se ogni scena fosse pensata dalla regista per acquisire a tutti i costi una patente di autorialità. Il risultato è sì un'opera curata e a tratti toccante, ma anche un po' compiaciuta, come un padre che impara a fare i pancake solo per Instagram.

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