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Lost in Translation

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Lost in Translation

di Baliverna
6 stelle

Due solitudini s'incontrano e si riconoscono.

Si tratta di un'escursione nell'alienazione, nella solitudine, nel non senso e nella noia di molte vite del mondo moderno. L'ambientazione a Tokio
non è casuale, e fornisce anzi la cornice ideale nella quale vagano i protagonisti, due solitudini che vengono a contatto. Una grande massa di individui vive una vita frenetica ma senza senso, tutti dediti al lavoro e a rincorrere i propri obiettivi, individui che sono come monadi senza veri rapporti gli uni con gli altri. Le riprese della Coppola nella metropoli puntano ad enfatizzare queste idee, raggiungendo una punta nelle sequenze delle sale giochi: luoghi umanamente aridi, pervasi dai suoni elettronici dei videogiochi, dove i poveri schiavi di questo mondo tecnologico senza amicizia e amore cercano un po' di piacere, o di scaricare il nervosismo che accumulano durante la giornata. Un altro elemento di alienazione e anche di stupidità è la televisione, con i suoi programmi idioti. E anche la cortesia e l'ospitalità dei rappresentanti pubblicitari che lo vengono a prendere sono così superficiali e formali da sfociare in ipocrisia ed accentuare la solitudine.
Un elemento che forse distingue il protagonista dai topi della metropoli è il rendersi conto che questa vita in fondo non ha senso; infatti ha verso il suo lavoro, pur ben pagato, un atteggiamento molto distaccato, di sufficienza. Con la moglie ha fondamentalmente gli stessi problemi che hanno gli abitanti di Tokio: incomunicabilità e noia. Il motivo è forse - come dice lui stesso - che dopo la nascita dei bambini sua moglie è tutta proiettata su di loro, e trascura pertanto lui (il che è un errore di tante coppie). In questa cornice di apatia e alienazione il tradimento è dietro l'angolo, semplice come bere un bicchier d'acqua. Ciò vale sia per l'avventura con la donna conosciuta al bar, che per il ben più serio rapporto con la ragazza. Quest'ultima, a sua volta, è sposata ad un uomo a cui importa assai più del suo lavoro che di lei, e forse anche di altre donne. L'amore tra di loro nasce piano piano, ma pure ad un certo punto s'impone all'attenzione di entrambi, che forse prima non avevano voluto vederlo nascere.
Secondo me più di metà film, quella cioè che mostra l'apatia dei due protagonisti, mi è risultata un po' piatta, forse proprio per un'eccessiva insistenza sulla piattezza e noia della loro vita. Poi la pellicola aumenta di una marcia e assume toni più intensi, con almeno un paio di dialoghi tra i due che incidono nello spettatore. Infine, la scena dell'addio è direi commovente. Bill Murray funziona bene nel ruolo di colui al quale nulla più importa, come aveva fatto, anche se con forti accenti comici, in "Ricomincio da capo". Scarlett Johansson è ben più di una bella ragazza, perché dimostra di saper recitare e rendere anche le sfumature dell'anima.
In generale, è una pellicola dove si sente il profumo d'autore, anche se, come dicevo, ha una prima parte secondo me troppo monotonale e piatta.

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