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Lost in Translation

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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Utente rimosso (touffe bleu)

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lost in Translation

di Utente rimosso (touffe bleu)
10 stelle

Si può essere soli ovunque, in qualsiasi parte del mondo, in compagnia, in viaggio, persino in un posto sconosciuto brulicante di possibilità come il Giappone. In un albergo affollato e lussuoso a Tokyo, nella sua hall, la notte fonda sorseggiando un drink con musica dal vivo nel bar dell'hotel si incontrano due persone completamente diverse, che condividono una sola condizione: un senso di solitudine opprimente. Una solitudine che crea uno status interiore di abbandono, di isolamento, di scoraggiamento persino nell'esplorare luoghi prima di allora ignoti. È allora la conoscenza casuale dell'altro a porre le condizioni di una complicità e condivisione quanto mai inaspettate in circostanze simili; una complicità imprevedibile proprio per la sua potenza immediata, in grado di smuovere gli animi dei protagonisti, di salvarli, di ridargli fiducia tramite un rapporto intenso e autentico, fondato su quella sincerità spiazzante che può esistere solo tra sconosciuti. La neolaureata Charlotte (Scarlett Johansson) si trova in quell'hotel in veste di accompagnatrice del suo giovane sposo, fotografo in ascesa impegnato in un progetto che lo costringe a poter trascorrere pochissimo tempo insieme a lei. L'assenza del ragazzo la porta a passare molto tempo da sola, tempo che impiega a visitare la città sconosciuta, ma soprattutto a ritrovarsi in una condizione di smarrimento che origina una serie di interrogativi sulla propria vita irrisolti, o che portano a risposte deludenti. Perché si trova lì? Ama davvero l'uomo con cui si trova in questo albergo? Nella sua vita è riuscita a realizzarsi come donna, a individuare i suoi obiettivi e a raggiungerli? Quesiti simili si impadroniscono di Bob Harris (Bill Murray), attore americano di mezza età in declino recatosi in Giappone per girare uno squallido spot pubblicitario che ha l'obiettivo di vendere un whisky. L'uomo accetta solo per l'alto compenso, neanche il sorriso che è costretto a sfoggiare nella pubblicità può convincerlo/convincerci che sia realmente felice e gratificato, soddisfatto della sua carriera e della sua vita matrimoniale, che si è ridotta nel tempo a un dialogo il cui apice è raggiunto dallo scegliere un colore piuttosto che un altro per una nuova tinta delle pareti. L'intimità che si viene a creare tra Charlotte e Bob è delicata, leggera, ha i colori dei toni pastello dominanti tutto il film: quando li vediamo parlare insieme sdraiati sul letto della loro vita, di quelle che erano le loro aspirazioni, delle incertezze e difficoltà del presente e delle complessità future, un senso di protezione vicendevole li lega, una tenerezza reciproca plasma il loro affetto. È il potere del “non-detto” tuttavia a combinare prevalentemente i loro animi, gli sguardi che si lanciano sin dall'inizio del film, la gestualità che li accompagna anche durante le serate trascorse insieme, le espressioni che assumono osservandosi, scrutandosi, cercando di vedere l'uno nell'altro. Lost in Translation si configura così come un film sulle innumerevoli possibilità che si possono cogliere negli altri, sulla potenza dell'amicizia che può emergere dalle circostanze più bizzarre, su quelle rare affinità che possono salvarci, farci riscoprire la vita tramite sprazzi di bellezza in situazioni e luoghi impensabili e del tutto irrazionali. La regia di Sofia Coppola, dal suo stile inconfondibile, permette allo spettatore di tuffarsi in questo rapporto lievemente, coerentemente con la delicatezza e la sensibilità con cui fotografa i suoi protagonisti. La colonna sonora concorre a dare forma ad un'atmosfera sospesa, una nuvola in cui fluttuano gli eccezionali interpreti (finalmente un film con una Scarlett Johansson che non si pone solo ed unicamente come bomba sexy, estremamente credibile nei panni di una giovane donna alla deriva ma allo stesso tempo alla ricerca di una propria dimensione all'interno del mondo). La conclusione del film può immalinconire, ma mai demoralizzare: anche se si salutano, probabilmente per sempre, i protagonisti lo fanno con la consapevolezza che il loro incontro ha modificato le loro esistenze, ha impresso un segno di fiducia rinnovata nella vita, e così un sorriso appena abbozzato li farà andare avanti con qualcosa in più, che semplicemente prima non c'era.  

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