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Lost in Translation

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lost in Translation

di FABIO1971
8 stelle

"Sono confusa... Poi diventa più facile?".
"No... Sì, diventa più facile".
"Ah sì? Guardati...".
"Grazie... Più conosci te stesso e sai quello che vuoi, meno ti lasci travolgere dagli eventi".
"Già. Solo che io non so che cosa voglio diventare, capisci? Ho cercato di fare la scrittrice, ma detesto quello che scrivo. Poi mi sono messa a fare fotografie, ma sono mediocri. Sai, ogni ragazza attraversa una fase della fotografia: la fissa dei cavalli, o stupide foto dei piedi...".
"Ce la farai di sicuro, non sono preoccupato per te. Continua a scrivere".
"Ma ho dei limiti".
"Non è un male".
[Scarlett Johansson e Bill Murray]

Bob Harris (Bill Murray) è un celebre attore americano in trasferta a Tokyo per girare, per il modesto cachet di due milioni di dollari, una serie di spot pubblicitari per una marca di whisky. Charlotte (Scarlett Johansson), anche lei americana, da poco laureatasi in filosofia ma ancora indecisa sul proprio futuro lavorativo, è la moglie insoddisfatta del fotografo John (Giovanni Ribisi) che gira infelice e spaesata per la metropoli giapponese durante le lunghe assenze per lavoro del marito. Si incontrano nel bar dell'hotel di lusso in cui alloggiano e, durante una comune notte insonne, scambiano tra loro le prime parole, base di quella reciproca ed intima conoscenza che iniziano lentamente a costruire giorno dopo giorno. L'amicizia e la sintonia che Bob e Charlotte scoprono nascere tra loro sono frutto dell'incontro di due sofferenze, due esistenze tormentate che sopravvivono apaticamente nel presente perchè terrorizzate dal futuro: la comune lunghezza d'onda che favorisce ed alimenta il loro "avvicinamento" è proprio l'identica insoddisfazione di entrambi, amplificata ulteriormente dallo spaesamento causato in loro dall'ambiente che li ospita. Per una impercettibile frazione di tempo, però, quel sentimento si trasforma in amore: ma è un amore che, anzichè deflagrare nella passione, implode nei loro cuori, perchè la consapevolezza della sua impossibilità invade Bob e Charlotte fino ad allontanarli verso le proprie vite. La magia degli irripetibili momenti di felicità condivisi insieme, però, li accompagnerà per sempre.
Attesa alla prova del secondo lungometraggio da regista dopo il successo di Il giardino delle vergini suicide, Sofia Coppola, che firma anche la sceneggiatura (premiata con l'Oscar: uno dei soliti controsensi dell'Academy, visto che molte sequenze ed alcuni fondamentali sviluppi della vicenda - in primis il finale - sono stati affidati all'improvvisazione degli attori sul set), si accosta con grazia ed indubbia personalità d'autore agli umori appassionati della commedia romantica, immergendoli in un contesto suggestivo e straniante come quello dell'ambientazione giapponese per approfondire ed esplorare con sguardo commosso e partecipe la nascita e la "costruzione" di un sentimento (im)possibile: Bob e Charlotte sono due diversi figli della noia che attanaglia quel moderno vivere da cui entrambi vorrebbero affrancarsi ma di cui ormai sono schiavi. Proprio il loro incontro, l'esplorazione delle proprie diversità e la scoperta, invece, di identiche (ed odiate) radici servirà ad entrambi per scoprire che si può ancora essere felici: il finale, prima devastante (il raggelante saluto che si scambiano in hotel) e poi commovente (con quelle parole incomprensibili che Bob sussurra all'orecchio di Charlotte dopo essersi baciati per la prima ed unica volta), ne è la magica ed imprevedibile conferma (amore senza sesso? Nel XXI secolo? Certo, e si vergogni chi non ci crede, ci dice Sofia...). Forse si incontreranno ancora, magari al prossimo spot di una marca di whisky, forse mai più: non importa sapere se accadrà, ciò che conta realmente è, adesso, la consapevolezza che, grazie alla "potenziale" purezza di questo amore, il futuro si è finalmente colorato di luci e prospettive diverse e Bob e Charlotte possono partire felici verso una vita "vecchia" che sono riusciti a trasformare in "nuova". Prodotto, come consuetudine, da papà Coppola, girato in appena un mese di riprese (realizzate, tra l'altro, in sequenza), Lost in Translation è un'opera ispirata ed affascinante per delicatezza di toni e rarefazione delle atmosfere, che astraggono dal caotico brulicare di vita della metropoli quegli spazi bui o soffusi dell'hotel dove consentire ai suoi personaggi di fermare il tempo per isolarsi ed aprirsi l'un l'altro. Ma il film possiede anche l'amabile leggerezza di sguardo dell'ironia, di cui Sofia Coppola si serve per annullare le distanze generazionali tra i due protagonisti lanciandoli uno verso l'altro ed affrontare il loro spaesamento, con esiti anche esilaranti, in terra straniera, sorretto dal carisma di uno straordinario Bill Murray e dalla freschezza di Scarlett Johansson (ma alcuni spassosi momenti sono affidati alla verve di Anna Faris, nei panni della petulante ed odiosa attricetta Kelly). Impossibile dimenticare, poi, alcune memorabili sequenze, da Murray che imita Roger Moore durante il servizio fotografico alla sua esilarante performance sul tapis roulant, dalla solitudine e dagli sguardi persi di Charlotte, appollaiata sul davanzale della finestra dell'albergo ad ammirare il panorama mozzafiato di Tokyo a God Save the Queen dei Sex Pistols storpiata selvaggiamente al karaoke, seguita, poi, dall'esibizione di Bill Murray in una più "sofferta" More than This dei Roxy Music, dall'omaggio a La dolce vita di Fellini, trasmesso in tv, allo struggente saluto finale di Bob a Charlotte e a Tokyo, con in sottofondo l'incantevole Just Like Honey di The Jesus and Mary Chain. Magnifica fotografia di Lance Acord e splendida colonna sonora curata da Kevin Shields, leader degli stratosferici My Bloody Valentine (di cui viene proposta la meravigliosa Sometimes), a cui si aggiungono, tra i vari brani, altre suggestive perle del calibro di Girls dei Death in Vegas, Alone in Kyoto degli Air e The State We're in dei Chemical Brothers.

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