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Le divorce

Regia di James Ivory vedi scheda film

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La recensione su Le divorce

di degoffro
2 stelle

Certi film sono dei veri e propri enigmi che nemmeno la Sfinge sarebbe stata in grado di elaborare. "Le divorce" è uno di questi. C'è proprio James Ivory dietro la macchina da presa? Il bravo regista, certo in declino negli ultimi anni, ha pur sempre una sua dignità da difendere ed alcuni suoi celebri titoli del passato, su tutti "Camera con vista", "Casa Howard" e "Quel che resta del giorno" fanno ancora la loro gran bella figura. E poi perché Naomi Watts e Kate Hudson, due giovani, belle e discretamente brave attrici, ormai sulla cresta dell'onda, hanno accettato ruoli così insignificanti, fatui ed anonimi? E che dire del lussuosissimo ed incredibile cast di contorno (Glenn Close, Sam Waterston, Matthew Modine, Stockard Channing, Thierry Lhermitte, Romain Duris, Bebe Neuwirth, Jean-Marc Barr, Stephen Fry e, buona ultima, Leslie Caron, indimenticabile in "Un americano a Parigi" di Vincente Minnelli, evidente punto di riferimento per Ivory ma lontano anni luce per classe, ritmo ed intelligenza da questo filmetto incolore ed insapore) in evidente vacanza premio parigina? James Ivory aveva già parlato di una famiglia americana in quel di Parigi ne "La figlia di un soldato non piange mai", ispirato alla vita, nella capitale francese, di James Jones, autore, tra l'altro, di "Da qui all'eternità" e "La sottile linea rossa". Quel film, con protagonisti Kris Kristofferson e Barbara Hershey, non era perfetto: mancava di una struttura narrativa forte, era episodico e discontinuo, perché preferiva isolare singoli aspetti nella vita dei protagonisti, ma quanto meno aveva una sua ragione d'essere, era vivo, appassionato, curioso, incentrato com'era su una bella ed intensa figura di padre. Questo "Le divorce" invece è pretestuoso, insopportabile e vuoto. Commedia degli equivoci? (Melo)dramma? Satira di costume? Salace ironia sulle diversità tra Francia e Stati Uniti? Sotto quest'ultimo profilo i luoghi comuni e gli stereotipi si sprecano, ma quello che lascia di sasso è il fatto che il film non pare avere un suo baricentro, un significativo ed essenziale filo conduttore. Le due vicende principali (il divorzio che coinvolge Roxanne e la relazione adulterina di sua sorella Isabel con un politico francese di spicco, zio del marito di Roxanne) mal si conciliano, sono prive del benché minimo interesse e hanno uno sviluppo svogliato, fiacco, prevedibile ed inconcludente, approssimativo e sconclusionato come neanche nella più squallida delle soap opera. E' davvero strano che il film sia tratto da un romanzo di Diane Johnson, scrittrice americana di adozione francese, (tra l'altro ha scritto per il grande schermo con Stanley Kubrick "Shining", per cui non è proprio una pivellina), testo che, speriamo, sia più accattivante ed originale della sua inetta e sciagurata trasposizione cinematografica. Ci sono diverse parentesi inutili (tutta la tediosa diatriba sul prezioso quadro di famiglia), situazioni ripetitive e mosce (quella borsetta rossa di coccodrillo nota come "Kelly", dall'attrice Grace Kelly e firmata dalla Maison Hermès, oggetto di continue e noiose chiacchiere), o penose (Kate Hudson nel negozio di biancheria intima alle prese con le taglie diverse tra Stati Uniti ed Europa), altre ancora talmente ridicole da non crederci (le comparsate di Matthew Modine gelano il sangue talmente sono orrende e nefaste, la peggiore delle quali, in un'ideale classifica dell'orrido, resta la litigata con Roxy davanti al negozio). I personaggi sono esili, appena abbozzati e spesso antipatici, i dialoghi banali e superficiali (la maldestra e sciocca sceneggiatura è firmata dal regista con la sodale Ruth Prawer Jhabvala), le frecciate ai francesi qualunquiste e presuntuose (si ironizza, per esempio, persino sul fatto che in Francia si preferirebbe lo zucchero in zollette anziché semolato). L'ambientazione parigina è cartolinesca ed infantile, la regia debole, distaccata e soporifera, il coinvolgimento emotivo dello spettatore sotto zero, la svolta drammatico-thriller con l'omicidio del marito di Roxanne repentina e del tutto fuori luogo, il grottesco epilogo sulla Torre Eiffel delirante. Naomi Watts e Kate Hudson sono sprecate, annoiate, scipite. Le quattro signore dello schermo Glenn Close (a dire il vero conciata un pò come una strega), Stockard Channing, Bebe Neuwirth e Leslie Caron invece hanno classe a sufficienza per sopravvivere a questa disfatta generale e deprimente. Non tanto un film brutto, quanto un film evanescente, prolisso, stanco e senza senso. Il che forse è ancora peggio. Il dubbio è questo: cosa vuole raccontare Ivory? Quali spunti vuole fornire ad uno spettatore sempre più basito e sconcertato mano a mano che la storia prosegue, rivelando tutta la sua lapalissiana inconsistenza? Sull'incontro/scontro tra culture diverse lo stesso Ivory in passato è stato ben più incisivo, specialmente nel suo periodo indiano. Come puro intrattenimento invece il film è del tutto sbagliato, squilibrato ed appassito. Se rivolgersi al presente produce risultati così incresciosi ed oltremodo imbarazzanti, molto meglio che Ivory torni al passato. Sarà pure cinema accademico, ingessato, manieristico, ma quanto meno non è irritante e svenevole come questa anemica sciocchezzuola senza arte né parte, quasi un'involontaria parodia demenziale, alla "Scary Movie" per intenderci, di certo cinema chic ed intellettualoide. Pura ed insolente civetteria da annoiato, viziato e vanitoso salotto alto borghese. Sconfortante, frivolo, faticoso e fondamentalmente inguardabile. Con un solo dialogo davvero divertente tra Isabel e l'avvocato di Charles-Henry, a proposito della stima del pregevole quadro Sant'Orsola, in sede di separazione dei beni, quadro che in realtà è un'eredità della famiglia di Isabel e Roxanne e dunque, a logica, dovrebbe rimanere a Roxanne. "Si sta comportando da stronzo. O è stato mal consigliato." dice infatti Isabel, a proposito del cognato, all'avvocato che replica ingenuamente: "Ha lasciato fare a me." Secca allora la risposta di Isabel: "Allora sei tu lo stronzo!" Presentato, chissà come e perché, fuori concorso alla 60° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Per i due ruoli principali si era inizialmente pensato a Winona Ryder e Natalie Portman. Kate Hudson e Bebe Neuwirth avevano già lavorato insieme in "Come farsi lasciare in 10 giorni" altra ruffiana commedia alla moda che, al confronto, sembra quasi un capolavoro wilderiano di raffinata intelligenza e acuta ironia. Voto: 3

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