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21 grammi

Regia di Alejandro González Iñárritu vedi scheda film

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La recensione su 21 grammi

di giancarlo visitilli
6 stelle

L’origine della fine, l’effetto che precede la causa. L’ossimoro che utilizza il messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu, rimanda più al quadro nero di 11/09/’01, che all’Amores Perros. Anzi, se lì si trattava d’amores, adesso, bisogna ammetterlo: il dolores estremos di questo 21 Grammi (il peso che ogni corpo perde al momento della morte), spiazza. Unico film made in Usa in concorso alla 60° Mostra del Cinema di Venezia e Coppa Volpi al miglior attore, lo straordinario Sean Penn.
21 Grammi si dice che sia anche il peso dell'anima. Infatti, questo film racconta dello spessore, sottile, ma estremo, perché è tra la vita e la morte, il senso religioso e l’agnosticismo puro.
Storie che si incrociano a causa di un incidente in cui perdono la vita un padre e le sue due figlie. La vedova Cristina Peck, affranta per tanto dolore, acconsente a donare il cuore di suo marito ad un professore di matematica, Paul River, in piena crisi matrimoniale ed in attesa da lungo tempo per un trapianto. Nel frattempo Jack Jordan, che è il responsabile dell’incidente, divenuto un fanatico religioso, si costituisce e finisce in galera. Il professore, rimessosi dall’operazione, decide di scoprire l’identità del donatore e, conosciuta la vedova, se ne innamora. Le vite di Cristina, Paul e Jack si uniranno inaspettatamente, cambiando per sempre i loro destini.
Posta così la storia, appare abbastanza lineare, ma basta guardare il film per il primo quarto d’ora e non capirci nulla, perché per Iñàrritu vige una legge: quella della non-trama. Per il pubblico cinofilo e non, che in questi ultimi mesi a cinema ha potuto confrontarsi con film come Dogville di Lars Von Trier, quest’ultimo apparirà come l’ennesima provocazione culturale. E allora: film sperimentale, troppo cerebrale, disperato, crudo, rigoroso, al limite dell’esercizio di stile? Semplicemente ambizione di un nuovo e (troppo) giovane regista, che se ha osato sin dal suo secondo film pesare l’animo di attori di notevole talento, come Sean Penn, Naomi Watts, Benicio Del Toro, Charlotte Gainsbourg, che ne sarà del suo futuro come regista? Cosa avrà ancora da raccontare il regista messicano, se già da ora mette pretenziosamente così tanta carne sul fuoco: la morte e la vita che sta tra la conversione, il delitto e il castigo? Temi complessi, ma posti appena sul fuoco, ‘poco cotti’.
Sarebbe interessante anche in occasione di 21 Grammi fare un’operazione d’inversione, sul modello di quello che succedeva negli anni Settanta per la “musica del diavolo”: cominciare dal contrario. Iniziare a guardare il film partendo dalla fine. Ecco il trucco. Ci accorgeremmo che si tratta di un normale melò, edulcorato da un montaggio random, che scardina il consueto racconto narrativo; che si avvale di una splendida fotografia (Rodrigo Prieto), algida, sporca, fredda e cruda; delle riprese con la macchina quasi sempre in spalla. Si, d’accordo, ma dov’è il peso dell’anima? Anzi, dov’è l’anima in questo film?
Alla fine viene spontaneo porsi quasi le stesse domande dei personaggi del film, magari rivolte allo stesso regista, e più che chiedersi “quanto c’è in 21 grammi?” (come la voce fuori campo del film), sarebbe più interessante e più fondata: “Iñárritu, cosa c’è in 21 Grammi?”. Ancora una volta: il dubbio consistente del peso della nostra anima.
Giancarlo Visitilli


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