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Leoni al sole

Regia di Vittorio Caprioli vedi scheda film

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La recensione su Leoni al sole

di LorCio
8 stelle

In un’intervista di qualche tempo fa, il divino Raffaele La Capria, cercando saggiamente di smarcarsi dalla vulgata che lo vuole modello di ispirazione dell’ormai mitologico Jep Gambardella, ha svelato che era nei piani di Paolo Sorrentino adattare per il grande schermo il capolavoro assoluto dello scrittore. Da quel Ferito a morte, che ogni anno di più cresce a dismisura assurgendo ad una sorta di moloch letterario, il regista aveva tratto una sceneggiatura che non aveva soddisfatto né La Capria né lo stesso Sorrentino, sicché i due hanno giustamente deciso di rinunciare all’adattamento.

 

Che, va detto, si riferisce ad un’opera letterariamente difficile e “spettacolare”, che si muove in diversi piani temporali con personaggi fluttuanti, privo di una reale storia perché abitata da episodi legati da una scrittura fisica ed elegiaca, raffinata ed intimistica al contempo. Questa non è la sede per parlare di un romanzo, però dobbiamo aver chiaro che questo Leoni al sole è il film che meglio fa rivivere le atmosfere e le parole del grande scrittore napoletano, qui impegnato in sede di sceneggiatura assieme al regista esordiente.

 

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I leoni del titolo sono i vitelloni borghesi che bivaccano nella Capri del dopoguerra, raggiungendo l’apice della propria esistenza immolata alla noia nel corso della stagione estiva, momento della conquista delle forestiere e della ricerca del divertimento più sconclusionato e quindi felice. Felicità che, inutile a dirsi, non può manifestarsi per l’inesorabile pigrizia di un mondo in lenta decomposizione emotiva. Rapsodia buffonesca del tramonto di un’epoca (la villeggiatura di lusso) e di una certa generazione (la borghesia che si concede il lusso di quattro mesi di nulla assoluto), Leoni al sole è una variante tirrenica del capolavoro di Fellini, che coglie personaggi più brillanti e forse superficiali ma comunque dominati da un sentimento di assoluta precarietà.

 

Si staglia, tra uomini che non vogliono crescere o consapevoli della propria mediocrità, la bellissima figura di Franca Valeri, quarantenne milanese romantica e disillusa che dona un’ultima possibilità alla speranza di un amore. Quando si rende conto che Philippe Leroy (gran faccia da mascalzone) la sta ingannando, la Franca esprime tutta la struggente saggezza di chi ha il cuore in inverno ed attorno divampa l’estate. Malinconico (tra le musiche di Fiorenzo Carpi spunta anche una languida Mina), accidioso (montaggio rilassato di Nino Baragi) e colorato (fotografia caldissima di Carlo Di Palma), l’esordio di Vittorio Caprioli è anche il suo film più bello e sentito, figlio del suo tempo e da riscoprire per il suo respiro universale.

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