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Cinque secondi

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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ndr94

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La recensione su Cinque secondi

di ndr94
7 stelle

Il cinema di Virzì è come una ripartenza in contropiede. Pensi di poterlo contenere e prevedere e invece è sempre capace di spiazzarti al momento giusto. Anticipando quel momento. Lo ha fatto con My name is Tanino, Caterina va in città, Tutta la vita davanti, Il capitale umano su tutti. Il filo rosso del suo fare cinema è sempre stato un atto civile di denuncia nei confronti di un tessuto sociale che progressivamente nel corso dell’ultimo trentennio è apparso sempre più sdrucito e logoro fino a consumarsi, disgregarsi.

In Cinque secondi questo tema si reifica nell’aspetto e nei panni fisici del protagonista, l’avvocato Sereni, interpretato da Valerio Mastrandrea, che incarna e porta su di sé la responsabilità collettiva del fallimento sociale di una generazione che ha visto nel successo e nel profitto gli unici ingredienti del progresso e della propria affermazione e aggiunge a questa responsabilità quella, forse ancor più grande, legata alla sua vicenda personale di padre, vero nucleo diegetico della pellicola intera.

Un film squisitamente sociale che poggia le sue fondamenta sulla ricerca di isolamento. Il dramma personale vissuto dall’avvocato Sereni diventa pretesto per fuggire dal consorzio civile nel tentativo disperato di un volontario esilio esistenziale in cui trovare rifugio.

La quiete apparente di quel purgatorio viene subito stravolta dalla presenza di una giovane comunità di studenti che abitano/occupano la vicina abitazione di Villa Guelfi con il progetto di recuperare il vigneto di un terreno circostante ormai abbandonato e portando avanti uno stile di vita tipico della comune, condividendo principi collettivistici e lontani dall’organizzazione della società tradizionale.

Lo scontro tra questi due mondi così vicini e lontani diventa luogo di incontro e vicendevole riscoperta dei valori autentici. Virzì non adotta una narrazione rivoluzionaria e dicotomica bensì di paterna riconciliazione e riscoperta di valori, su tutti quello della famiglia, non inteso come strumento di coercizione sociale da parte del potere costituito bensì come fonte di amore, germoglio necessario per la rinascita di un futuro migliore.

E in quest’aporia di luoghi e generazioni si consuma il disperato bisogno da parte delle nuove generazioni di sentirsi comunità autentica, fisica, fatta di relazione, contatto e lavoro della terra. Una comunità orientata, piuttosto che all’innesto o all’impianto, al recupero di quanto già esistente ma ormai dimenticato. Prendersi cura della vigna, cercare di farla germogliare, lungi (o forse no?) dalla metafora evangelica, significa prendersi cura di noi, della società, della capacità di rimettere l’uomo al centro della discussione.

Buongiorno papà!

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