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Una lezione d'amore

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Una lezione d'amore

di Aquilant
8 stelle

Il tempo dell’innamoramento, vale a dire delle sonate estive, sta volgendo al termine. Le brevi ma intense estati bergmaniane accompagnate dalle suadenti voci di Marie e Monika sono ormai un ricordo. Ora è tempo di cavilli verbali, accompagnati da rancori, ripicche e da oceaniche disquisizioni dolceamare sulle reciproche infedeltà di coppia e sulla volatilità dell’uomo in particolare. Tempo di teorie assiomatiche sull’impossibilità di costruire un reciproco rapporto di fiducia nell’ambito della vita matrimoniale, sulla forza dell’abitudine che schiaccia di netto ogni barlume di residua passione, costituendo l’unico collante a disposizione della coppia. Ma se l’amore è “una spasmodica smorfia che termina in uno sbadiglio” e “il pasto e l’appagamento spianano la strada al disgusto” che cosa rimane per Bergman da salvare in un vincolo matrimoniale in cui noia e crisi di coscienza sono sorelle siamesi? Nulla, in apparenza: il letto a due piazze rimane pur sempre la tomba dell’amore.
Colpiscono per la loro incisività e per il ritmo mozzafiato i duetti tra Eva Dahlbeck e Gunnar Björnstrand, assecondando ed evidenziando il lato leggero bergmaniano contenuto in una scrittura narrativa fluida che scivola via sulla pelle con piacevolezza. - In una scena quasi farsesca, Eva sta per impiccarsi, - racconta Bergman. - e contemporaneamente Gunnar le dichiara il suo amore. Poi il tetto crolla con un effetto d’insieme decisamente gustoso. Al momento di girare la scena, mi vennero i sudori freddi. Dissi a Eva e a Gunnar che avevo guardato il testo e lo trovavo del tutto impossibile. Era noioso e mal scritto, bisognava farlo in qualche altro modo. Allora Eva e Gunnar protestarono, unanimi. Mi pregarono di lasciare lo studio, magari di andare in città per calmarmi un pò. “Lasciaci lavorare per un’ora”, dissero, “poi quando avremo finito reciteremo la scena per te.” Così avvenne. Non avrei potuto ricevere una lezione migliore. -
Intensi irruenti, paradigmatici, in una vera e propria girandola di gags verbali a catena opportunamente spruzzate di vetriolo, ma filtrate con sensibilità e misura, i due inarrivabili interpreti riprendono a beccarsi incessantemente a vicenda, annullando d’un colpo il lasso di tempo fra “Donne in attesa” ed “Una lezione d’amore”, disegnando i percorsi emotivi della coppia in una vicenda che nonostante le apparenze ridanciane e volgarotte anzichenò e qualche caduta di tono imperdonabile per un autore di tale levatura (il finale kitsch col cupidino consenziente e le battute sulla costola mancante dell’uomo) racchiude un pessimismo cronico che traspare con evidenza tra le righe. Si ride, d’accordo, ma si ride amaro, e sotto una patina di commedia brillante non si fa granché fatica a scoprire per l’ennesima volta la mancanza di fiducia connaturata all’identità stessa dell’essere umano, incapace di instaurare un processo di autoregolazione nell’ambito dei rapporti con il sesso opposto.
Bergman effettua un calibrato dosaggio temporale tra passato e presente in questa pellicola da lui ritenuta “leggera e frivola” ma ricca di venature umoristiche dal gusto corrosivo, dimostrando un notevole senso del ritmo in quel suo saltellare indifferentemente tra repentini ricorsi al puro slapstick e conflitti adolescenziali di rigetto della propria identità, ben destreggiandosi anche in un campo che non si può definire propriamente il suo e proseguendo qui e nel successivo “Sogni di donna” le prove generali per quei “Sorrisi di una notte d’estate” che gli spalancheranno le porte della notorietà. Sta ormai per chiudersi il primo periodo bergmaniano, quello della disillusione, che spianerà la strada a temi ancora più complessi, ma le piaghe aperte sul tema della coppia saranno destinate a sanguinare a lungo.

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