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Una settimana da Dio

Regia di Tom Shadyac vedi scheda film

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La recensione su Una settimana da Dio

di degoffro
4 stelle

Il problema di un film come "Una settimana da Dio" sostanzialmente è uno solo. Se si è fan dell'istrionismo scatenato e geniale o della strepitosa mimica corporea e facciale (così per gli ammiratori, appunto) di Jim Carrey vi farete, probabilmente, ma non è del tutto scontato, delle grosse risate; se invece mal digerite la spudorata e supponente gigioneria, l'insistito e fastidioso egocentrismo (nel film l'attore compare praticamente in ogni scena), la plasticità eccessiva, esasperata e ripetitiva della sua faccia di gomma, allora troverete il film insopportabile, irritante e scarsamente divertente. Tom Shadyac, il regista di Jim Carrey per eccellenza, avendolo diretto in altri due super successi come il modestissimo "Ace Ventura" e il moderatamente riuscito "Bugiardo Bugiardo" (che partiva da un'idea assai brillante, poi, purtroppo, annacquata da una sceneggiatura stancante e monotona) insiste nel voler realizzare commedie demenziali, grossolane e spiritose (suoi anche "Patch Adams" con Robin Williams e "Il professore matto" con Eddie Murphy), ma il suo film più divertente resta il delirante "Dragonfly" con Kevin Costner, che in realtà doveva essere un melodramma patetico e strappalacrime. Incapace di gestire la frenesia incontenibile dell'attore Jim Carrey, gli lascia scena aperta e così "Una settimana da Dio" finisce per essere un one man show alla lunga fine a se stesso, oltre che un mix risaputo e ovvio di "The mask" e "Bugiardo Bugiardo". L'idea iniziale è curiosa ma non nuova (di solito il patto si fa con il diavolo, qui invece è lo stesso Dio che propone al protagonista di sostituirlo per una settimana, donandogli tutti i suoi poteri, con le ovvie conseguenze del caso), le situazioni comiche piuttosto rare e meccaniche (a parte il cane Sam che fa pipì e cacca sul water, magari leggendo il giornale), la sceneggiatura, a cui hanno collaborato ben tre sceneggiatori, tra cui anche Steve Oedekerk, già regista di Carrey nell'orrido sequel di "Ace Ventura", piuttosto inconsistente e semplicistica (raramente si è assistito ad uno squilibrio così marcato ed evidente tra il tema trattato - si parla addirittura di libero arbitrio - e la piatta messa in scena) la morale anche valida (coltiva i tuoi talenti perché "sei tu il vero miracolo"), ma espressa in modo così ipocrita, come se fosse un furbo slogan, da risultare fasulla (nel film si dichiara, tra l'altro, a chiare lettere che anche le persone apparentemente più crudeli e grette in realtà hanno un cuore d'oro e che lo sforzo di ciascuno di noi deve essere rivolto al superamento del nostro egoismo e all'accettazione della nostra posizione nel mondo anche se questa non è esattamente quella che avevamo immaginato), il buonismo edificante finale orrendo e poco credibile (Bruce che lascia al suo rivale via libera), il patetico e la melassa eccessivi (Grace, dopo che Bruce è stato investito, dona il sangue al suo uomo, salvandogli la vita), ridicolo e meschino quell'insieme di religiosità popolare e misticismo new age che viene messo in campo nella seconda metà del film, per giustificare un finale di redenzione (perché si giunga alla risoluzione dello sviluppo drammatico è necessaria l'invocazione della preghiera, stucchevole e piagnucolosa nella recitazione della Aniston, poco credibile in quella dello stesso Carrey) i riferimenti o omaggi al cinema di Frank Capra inutili, pacchiani e dannosi (anche perché Jim Carrey certo non è James Stewart, ma soprattutto Shadyac non è Frank Capra), disarmanti, infine, la faciloneria e l'esplicito intento di smuovere i buoni sentimenti del pubblico. Meglio sarebbe stato un film meno moralista e ben più incisivo e/o cattivo. Carina la prima parte quando il protagonista, investito di straordinari poteri, li sfrutta in modo egoistico, avido, personalissimo, arbitrario, giusto per "sistemare due o tre cosette e raddrizzare qualche torto subito nella vita", disinteressandosi completamente dei danni che può causare agli altri (nel catturare con un lazzo la luna per avvicinarla alla sua Grace, provoca uno tsunami dall'altra parte del pianeta, in una scena, che alla luce del vero tsunami avvenuto nel dicembre 2004, suona quanto meno inquietante e profetica), riuscito il Dio di colore ovviamente sempre di bianco vestito (unica idea veramente brillante), interpretato da un divertito, sornione, saggio e flemmatico Morgan Freeman, che dopo il primo presidente degli Stati Uniti di colore in "Deep Impact" si misura con un altro ruolo "onnipotente", simpatica e gradevole Jennifer Aniston. Il resto, purtroppo è poca cosa, infantile ed elementare come il motto di Bruce, vale a dire "La vita è un biscotto, ma se piove si scioglie", peggiorato peraltro da stucchevoli scene romantiche, ingenuità spiritualiste ed irritanti tirate retorico-moraliste: "seguendo un'anomalia assai frequente nell'odierna composizione della commedia slapstick, l'ingranaggio inizialmente ben concepito, crolla sotto il peso della sovrastruttura morale, ponendo suo malgrado lo spettatore davanti alla trasparenza del suo noioso indirizzo etico, fatto di sollecite redenzioni e di valori recitati con la petulanza di una cantilena." (Francesco Russo da "Tempi Moderni"). Comunque successo colossale per Carrey (reduce dai tonfi di "Man on the Moon" e "The Majestic" e che non ha nascosto un lato autobiografico del film, perché come Bruce, vorrebbe essere riconosciuto dalla critica, specie statunitense, come attore completo) tanto al box office americano (250 milioni di dollari) quanto a quello italiano (quasi dodici milioni di Euro per un film uscito a giugno, davvero un gran bel bottino). Rimane un dubbio: che l'attore americano sia in realtà un grande attore drammatico e un pessimo comico? "Carrey vuole tornare ragazzone che fa ridere e sa dove duole l'American Way of Life, ma la sua performance è studiata a tavolino: a 41 anni deve decidersi se da grande vorrà essere il nuovo Jerry Lewis, il nuovo James Stewart o il nuovo Danny Kaye" (Maurizio Porro). Curiosità: negli States il titolare del cellulare il cui numero nel film risulta essere quello di Dio, si è ritrovato con centinaia di chiamate di persone che volevano parlare con Dio stesso. Già in cantiere un sequel con medesimi protagonisti e regista.
Voto: 5

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