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Scomode verità

Regia di Mike Leigh vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Scomode verità

di yume
9 stelle

locandina

Scomode verità (2024): locandina

Sulle cause e le manifestazioni della rabbia la psicanalisi si diffonde a lungo e lo scandaglio sul fenomeno è molto articolato. In sintesi, il rilascio di adrenalina nel sistema nervoso simpatico scatena reazioni impulsive o verbali aggressive e la reazione soggettiva può diventare disadattativa.

Mike Leigh mette in scena il fenomeno nella sua spietata frontalità.

Pansy, mirabile performance di Marianne Jean-Baptiste, è una donna rabbiosa, la sua risposta al mondo che la circonda, famiglia e non, è sempre all’insegna dell’attacco mordace, insofferente, primordiale, come se dovesse in ogni istante difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui si trova. 

Ben sappiamo che le cause della rabbiosità affondano in territori profondi della psiche, problemi relazionali, conflitti familiari o difficoltà di comunicazione sono alcune delle cause, ma l’indagine non può fermarsi lì e investe anche il campo della sociologia.

Nulla di tutto questo in  Hard truths, Leigh guarda, registra e non dà giudizi.

E proprio questa distanza, questo ricorso alla sua cifra stilistica di elezione, il minimalismo, fa di quella landa desolata che è la vita di Pansy un territorio affascinante, carico di umana sofferenza, un mondo che ci riflette in un triste gioco di specchi.

Perché la rabbia respinge e determina condanna, la dolcezza gentile avvolge e reca successo e amore.

Eppure sono entrambi modi di reagire al mondo, e se nel DNA è scritto “rabbia” c’è poco da fare,

è il caso che regna sovrano.

Pansy è evidentemente portatrice di una grande sofferenza interiore, forse l’infanzia, forse la madre, forse l’insoddisfazione che oggi chiamiamo depressione, l’inadeguatezza rispetto alle aspettative, un volere gli altri in un certo modo e vederli sempre diversi.

Il marito e il figlio sono praticamente afasici, anch’essi hanno evidentemente i loro problemi di realizzazione, ma di fronte a Pansy passano solo per vittime.

Michele Austin, Marianne Jean-Baptiste

Scomode verità (2024): Michele Austin, Marianne Jean-Baptiste

La sorella, Chantelle, è sorridente e briosa, non capisce Pansy ma le vuol bene. Stessa cosa può dirsi delle nipoti, ragazze allegre, vivaci come la madre.

La mdp si muove lenta nei rari esterni, la bella casa americana col suo steccato bianco e qualche cespuglio nel giardinetto, nessuno che passi, l’interno asettico, ordinato maniacalmente da Pansy che odia microbi, animali, polvere.

Moses è il grasso figlio indolente, cuffiette sempre in testa ballonzola per strada ed è facile bersaglio di mobbing, Curtley il marito è falegname, ha lo sguardo mite del cane bastonato, entrambi incapaci di fare alcunchè, men che meno trovare vie d’uscita alla vita frustrante in una casa dominata dalla rabbia inerte di Pansy (sì, inerte, Pansy non rompe piatti né lancia suppellettili, parla, straparla, urla, e poi dorme, o meglio, cade in catalessi).

Patsy è un filo teso, una borderline, si sente vittima, reagisce senza ragione apparente, addirittura precede l’interlocutore vedendolo portatore di oscure minacce. I suoi eccessi verbali lasciano interdetti la dentista, la commessa del supermercato, l’uomo in cerca di parcheggio, la ragazza del negozio di divani che restano basiti di fronte alla sua violenza verbale del tutto gratuita, ma sanno che in quei casi bisogna tacere e far sbollire.

Pansy però è una pentola a pressione che non sbolle se non dopo aver emesso un violento sbuffo di fumo.

Perché, ci chiediamo, Leigh  mette in scena una donna che si potrebbe definire soggetto psichiatrico? E quali sono le “dure verità”?

Non scomode, come afferma il titolo italiano che sposta la vicenda facendone una cosetta da middle class borghese. E’ dura la verità, è implacabile, è la fatica di essere al mondo da parte di chi ne è sbalzato ai margini e qualunque perché è un palliativo.

Capita di vivere ai margini, Pansy si rifugia nel sonno, che è sempre una bella via di fuga.

Purtroppo esistono i sogni, e da quelli non si sfugge.

E poiché la rabbia è una risposta naturale a situazioni percepite come minacciose, resta da chiedersi perché Pansy veda come minacciose situazioni del tutto normali, in famiglia e fuori.

Leigh va dritto al nocciolo duro del problema e mentre sembra restare alla superficie dei fatti lasciando che la vita scorra intorno a Pansy con i suoi tranquilli rituali, scava buche profonde in quel placido tessuto e ne escono soffioni che tramortiscono.

Ricordiamo la scena famosa di Blue velvet di David Linch, il verminaio che brulica sotto l’aiuola fiorita del tranquillo giardinetto.

Ma se in Linch il verminaio è marciume sociale, in Leigh è molto più doloroso, è il male di vivere di Montale, è la gabbia senza porte.

Vedere nel finale o nel rapporto con la sorella un barlume di speranza è illudersi fornendo palliativi piccolo borghesi alla sterminata sofferenza dell’essere al mondo.

Lungo quei gironi infernali si va sempre più a fondo.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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