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Uzak

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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La recensione su Uzak

di MarioC
9 stelle

Film sconsigliato ai rabdomanti di blockbuster e di trame tentacolari, Uzak segna il trionfo del cinema del crepuscolo, della narrazione che procede per piccoli scarti di immagini e anime, della costruzione di spazi esteriori in netto e voluto contrasto con gli interni claustrofobici.

Nuri Bilge Ceylan è regista dalle profondità vorticose, incorniciate in piani sequenza eloquenti ed in silenzi fortemente espressivi.

Due cugini e la loro convivenza impossibile. Tutto qui lo snodo della storia, che pure riecheggia senza cedimenti il medesimo male di vivere, la incapacità di adeguamento all'altro ed ai suoi mondi. Patologia fortemente democratica, questo spleen esistenziale è delineato dal regista con brevi bozzetti che suggeriscono, più che esporre, il disagio.

Non può esserci apertura all’altro, quando si procede lungo la strada che si è scelto di intraprendere. La faciloneria del cugino di campagna contro lo sterile intellettualismo e l’implosa sofferenza di quello di città: due facce, si diceva, della stessa medaglia, due mondi che si incaponiscono a non riconoscere la stessa radice malata, quella sostanziale impossibilità di scendere a patti con le cose che impedisce, forse, ogni sentimento alternativo alla rassegnazione.

 

C’è un terzo personaggio fondamentale in Uzak: Istanbul, maestosa nel suo passato senza tempo, percorsa e scossa da una neve che sfiora ma non sferza.

Ceylan ritrae la meraviglia di una città con accuratezza affettuosa.

E l’ultimo piano sequenza, quasi un’inquadratura fissa (un uomo solo su una panchina, circondato dal vento e dalla neve, unica ancora di salvezza una sigaretta stropicciata), conferisce in un attimo al film tutto il calore prima represso. Nello sguardo dell’uomo, che pare godersi una solitudine cercata e finalmente compiuta, c’è forse anche un impercettibile brillio di rimpianto, la disperata ricerca di un senso che travalichi quello che ci si è autoimposti. Istanbul pare guardarlo con affetto, ma senza potergli fornire le risposte cercate, fiera nella sua nobile immobilità.

 

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