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Swimming Pool

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Swimming Pool

di Aquilant
4 stelle

A prima vista il titolo del film ci rimanda a vecchie reminiscenze pseudo cinefile del passato. In particolare ad un tentativo di studio psicologico da parte di Jacques Deray su tre personaggi che giostrano attorno ad uno specchio d’acqua in modo apparente disarmonico secondo i dettami di un canovaccio scarno ma passabilmente efficace, pieno di complicità sottintese e vuoti dell’anima da rimuovere a rate. Ovvero ad una “piscina” di non recente memoria.
Non ci vuole molto però per intuire che le analogie tra i due film non si spostano molto dallo zero. E nonostante un promettente avvio, con una Charlotte Rampling al solito disinvoltamente a proprio agio in una parte che sembra essere tagliata su misura per lei, sorpresa a volteggiare in un’atmosfera sospesa tra l’inquietudine di un’attesa immotivata e l’irrealtà del silenzio della creazione artistica, le allettanti premesse vengono ben presto smaccatamente tradite. La tensione scenica resta in superficie, compressa tra le manie di autocompiacimento del regista e la pochezza di un canovaccio che poggia tutte le sue aspettative sulle palesi nudità corporee di una Ludivine Sagnier alquanto volgarotta, (peraltro neppure lontana parente della sbarazzina Katherine di “8 donne e un mistero”), ostentate sullo schermo centimetro per centimetro (di pelle) con la complicità di una macchina da presa ammal(i)ata di voyeurismo cronico.
Con profondo compiacimento Ozon, che avevamo adeguatamente apprezzato “sotto la sabbia” ed in compagnia delle sue “otto donne” del mistero, si sofferma ripetutamente a rimirare le forme della sua musa preferita, trasformata appunto da brutto anatroccolo del precedente film a lolita di quart’ordine, indotta incessantemente a far bella mostra di sé ai bordi di una piscina blu polarizzato vestita (si fa per dire) di pochi centimetri di stoffa a strisce juventine oppure della sua sola epidermide generosamente esibita nello splendore dello schermo panoramico 16:9.
E non pago di far confluire l’andamento della storia in direzione di un inevitabile voyeurismo filmico moderatamente stabile sul versante soft core, Ozon si pregia perfino di mostrare in modo del tutto gratuito le forme, non più verginali a dire il vero, di una Charlotte Rampling alle prese con un “giardiniere di giorno”, sbiadito sostituto del suo tormentato “portiere di notte”. E di quello che si preannunciava come un promettente thriller psicologico incentrato su conflitti generazionali generati da spinte emotive di due personaggi antitetici, idealmente inseriti in un oliato meccanismo di nascita e sviluppo di un’originale creazione artistica, rimane un irrisolto tentativo di spiazzamento nei confronti dello spettatore, inframmezzato da robuste spruzzate di glamour e sporadici tentativi di fellatio andati a male, nonostante l’indiscutibile perizia di Ozon per quanto riguarda la cura dei particolari (anatomici) ed il volenteroso affannarsi sulla scena della Rampling e della Sagnier, quest’ultima con il solo torto di non essere in grado di svestirsi anche della sua pelle. Ma quel finale sospeso tra realtà ed immaginazione che sembra scopiazzato da film come “il sesto senso” o “the others”, investito del compito di elargire una patina di dignità e mistero ad una materia tutto sommato rozza e grossolana in quel suo rimettere tutto in discussione, lungi dal migliorare le cose finisce per affossare completamente l’assieme. Film destinato ad evaporare come gocce d’acqua su pietre roventi a meno che non lo si voglia seppellire sotto la sabbia avviandolo ad un sempiterno silenzio.

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