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Le invasioni barbariche

Regia di Denys Arcand vedi scheda film

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La recensione su Le invasioni barbariche

di Dalton
8 stelle

Arcand, eterna promessa del Canada francese (ha diretto solo 4 opere in vent'anni), è un regista d'indubbio talento. Alle volte pecca di compiacimento nel nozionismo intellettuale, scivolando così nella nicchia degli indipendenti da Sundence festival (può essere un bene) ma anche nel qualunquismo: il Michael Moore di SICKO lo strangolerebbe se vedesse la sua descrizione sulla sanità pubblica o sui sindacati! E poi, la citazione della tragedia del 11/9/2001 vorrebbe alludere alla realizzazione delle teorie del suo film d'esordio (IL DECLINO DELL'IMPERO AMERICANO): veritiero, ma ... non sarà un pò cinico? Eppure, averne di registi così coraggiosi. In lui convive lo stile grottescamente analogico di Luc Besson - annoverato dalla fotografia un pò gotica - con l'amore per gli attori ed i dialoghi anarchicamente impertinenti della sceneggiatrice Agnès Jaoui (quella de IL GUSTO DEGLI ALTRI, per intenderci) o del nostro Marco Ferreri. Il tema è quello dell'eutanasia. Tale tematica viene indotta più che espletata: ci si concentra sulle sofferenze di uno scorbutico professore donnaiolo e no-global, condannato ad un inguaribile cancro al fegato, a sua volta soccorso da un figlio a lungo ripudiato, che è un portabandiera della New Economy (intesa come "I soldi fanno la felicità: con essi si aprono tutte le porte"). La prima parte, col suo ritmo sincopato da commedia e il pragmatismo nella descrizione dei caratteri e della denuncia sociale, è quella che ha fatto guadagnare l'oscar per il miglior film straniero: da essa, l'anno dopo, prenderà spunto l'ancor più visionario regista spagnolo De La Iglesia per il suo CRIMEN FERPECTO. Il secondo tempo è più "teorico" (o, come dicevamo prima, forzatamente aneddotico) ma si riequilibra con un commovente epilogo che è un inno alle "famiglie allargate". E la sequenza finale annulla ogni possibilità di buonismo moralista, riequilibrando così oltre alla potenza narrativa anche quella morale. Film che partono descrivendo la deriva dei singoli al fine di recriminare la necessità di non annichilimento per una nazione meritano sempre d'esser lodati e premiati (come avverrà anche per il teutonico LE VITE DEGLI ALTRI). Ma i vertici artistici di MILLION DOLLAR BABY o anche gli standard professionali di un filmetto come NON E' MAI TROPPO TARDI non hanno ancora "invaso barbaricamente" il cinema "straniero". Curiosità: c'è una frecciatina anche per Berlusconi.

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