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Elephant

Regia di Gus Van Sant vedi scheda film

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La recensione su Elephant

di scapigliato
8 stelle

Grandissimo e potente. Lo riguarderei subito, e poi ancora un'altra volta. E così via senza stancarmi. Il film, che partendo lento e prosaico, potrebbe allontanarsi dai gusti cinefili di oggi, riesce invece a farci entrare nell'universo quotidiano di quei ragazzi. "Quelli", ma potremmo essere noi all'università o all'oratorio, oppure potrebbero essere i "nostri" ragazzi, se a parlare fosse un padre di famiglia. In silenzio, entriamo nella routine di questi ragazzi di una normalissima High School americana. Li conosciamo non perchè qualcuno parla di loro, o loro stessi si raccontano a qualcuno, ma li conosciamo attraverso i loro insignificanti momenti della giornata. Semplicissimi frammenti. Nient'altro. Eppure incontriamo un patito di fotografia; un suo amico, col padre alcolizzato; una ragazza introversa e visibilmente repressa; un trio di ragazzine rubate a "Thirteen"; un commovente pianista, e una coppieta di innamoratini perfetti.
E' nel secondo tempo che il film di Van Sant diventa un capolavoro, un film cult, un veo e proprio must per chi ama il cinema delle immagini. Infatti, la forza del regista è stata quella di non portare sullo schermo banalmente una storia veramente accaduta, con tutti i limiti e i vizi della realtà. Van Sant ha saputo esprimersi attraverso il linguaggio cinematografico (e grazie a Dio non è rimasto l'unico a farlo!), e questo ci ha regalato un film che va al di là della produzione documentaristica. I lunghi piani sequenza, che per l'ABC del cinema sono l'esatto contrario del rapido montaggio di un thriller, sono in realtà il modo più angosciante di portarci dentro al quotidiano, e al folle, di quelle vite, protagoniste inconsapevoli di uno stesso tragico film. I lunghi piani sequenza, usati esasperatamente come in questo caso, sono una vera e propria sovversione cinematografica, perchè allontano comunque l'attenzione; lo spettatore un pò sbuffa, trova i cinque secondi per dire una cosa a chi gli sta in fianco... Insomma, potrebbero essere solo controproducenti, invece qui riescono nella loro efficacia. Mi vien anche da pensare, che c'è pure un parallelismo tra questi piani sequenza, in cui i ragazzi sono seguiti e ripresi di spalle, e i famosi videogioghi (presenti anche nel film), in cui i virtuali protagonisti sono presi sempre da dietro. Potrebbe essere la sterilità di un mondo (videogioco) che ne influenza un altro (il nostro)? Oppure è l'ormai nostra sterilità che ha permesso la creazione di quei videogiochi? Fatto sta, che la scelta, tra l'altro felicissima dei piani sequenza, è l'elemento più efficace del film. Aiutato anche dall'intersecarsi dei vari punti di vista dei ragazzi, che vivono la loro quotidianità, e nemmeno sanno, che forse, l'insignificante tipo che hanno incrociato per il corridoio, sarebbe poi morto insieme a loro. Quindi, a monte di questo, la scena che mi è piaciuta di più, è il pezzo al pianoforte in cui il giovane killer (il più spietato, il più disilluso), suona con trasporto probabilmente il suo strumento preferito, mentre la macchina da presa gli gira intorno e, lentamente, si appesantisce (come un'elefante) sui suoi interni. Li vedi, li osservi, li senti parlare. Questi interni, coi libri, i disegni (uno raffigura un'elefante, appunto... Indizio importantissimo), i vestiti smessi e abbandonati lì, parlano di lui, del loro ragazzo che li vive. Mentre la musica continua, e ti coinvolge, e tu guardi quella cameretta, come una ragazza innammorata guarderebbe quella del promprio amore, o come un padre guarderebbe quella incasinata del proprio figlio, o come uno di noi guarderebbe commosso gli oggetti cari del suo miglior amico. Da queste scene prosaiche e a tratti anche commoventi, per l'alta percentualità di vita giovane che raccontano, passare al delirio e alla follia della tragedia finale, il passo è breve. In poco tempo arrivano le armi, architettano il piano, si preparano, si amano nella doccia (erroneamente accusata di essere una stecca del film, invece credo che sia l'elemento malato più giusto e convincente, proprio perchè non è messo lì per "fare scena"), e poi, con normalità, se ne vanno a scuola.
Credo che il merito più grande che va a Gus Van Sant sia di aver privato il film di retorica sia cinematografica che morale. Infatti non c'è nessun tipo di spiegazione sociale circa la tragedia, e nemmeno psicologica, come tutti forse vorremmo perchè ciò ci tranquillizzerebbe. Ci farebbe dire "Oh, ma ha fatto così perchè aveva i genitori divorziati"; "Ah! Ma si drogava! Ecco perchè è impazzito..."; "Dio quanto beveva!"; "Era sessualmente represso". Insomma ci sarebbero stati tanti passi falsi e infelici, da poter fare in un film del genere, mentre invece, il genio di Van Sant ha allontanato dal film la retorica per consegnarci un'opera lucida, privata di ogni riflessione e di ogni moralismo. Perchè non ce n'era affatto bisogno. Ma infinitamente piena di cinema.

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