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...e giustizia per tutti

Regia di Norman Jewison vedi scheda film

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Eric Draven

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su ...e giustizia per tutti

di Eric Draven
7 stelle

Nessuno è AL di sopra della legge di Pacino

 

di Stefano Falotico

 

Il “mestierante” Norman Jewison, coadiuvato in “cabina” di sceneggiatura da un diligente Barry Levinson, qui al servizio dell’one man show d’un Pacino giustamente candidato all’Oscar per una (non) justice for all, visto che lo perse, sconfitto ai punti...

 

Sì, secondo il giuramento alla fedeltà, non solo della bandiera americana, quest’interpretazione mondiale è a “stella” del far strisciar tutti a “comand(ament)o” d’un Al ispirato come non mai, sfumato, dal taglio impeccabile di capelli anche quando bacia una donna e, soffusamente, la carezza fra liti di gelosia a spas(i)mo delle sue vitali nevrosi, dell’angoscia d’un viso magrissimo, scarno da metter il bri(vid)o plaudente, come dico io nei confronti di Al stesso, un Dio che recita con occhi languidi, a pelle di un’arte attoriale mostruosamente fenomenale, che (s)balza da uno stato emotivo all’altro nel racchiuder l’emozioni ad anima incarnata in zigomi suoi taglienti.

È un avvocato rinomato di Baltimora che deve difendere il giudice Fleming, accusato di stupro nei confronti di una minorenne. Un avvocato che mai tradirebbe il codice d’onore del codice giurisprudenziale di chi, essendo appunto avvocato, difendere a ogni costo deve proprio il suo ambiguo cliente. Ma vi vedrà con estrema, drastica, radiografica chiarezza mor(t)ale, tanto che tornerà umanamente inappellabile in Corte d’Appello anche se, col suo “estremo” gesto, verrà radiato dall’albo. Sì, pochi alibi, quel giudice è insindacabilmente colpevole di gravissimo reato. Troppe ingiustizie vede, Al, ogni “santo” giorno per non prender coscienza che deve cambiar rotta e che il suo cliente, apparentemente “intoccabile”, è invero un pervertito “guardone” corrotto che troppo abusò di mano “morta” tocca(nte)... la giovane da lui corrotta. Povero stronzo “tocco”. Rintocca il “martello”. 

Allor Al lo strucca nel suo monologo finale, con un’arringa che la prende larga e poi arriva al punto letale, infierendo sul suo assistito che, indifendibilmente, offese la purezza d’una innocente per il suo sporco, “puro” piacer carnale.

E crolla la giuria, incriminando l’ora, era ora, acclarato criminale ché tanto “scoprì” le verginità da esser qui stato (s)coperto d’infamia e giusta, sacrale giustizia lapidaria.

Il verdetto è un Al avvocatesco che, bardato di carisma travolgente, (com)muove all’urlo glorioso nel fa saltar tutti gli altarini con tanto di “stato di (in)fermo” suo finalmente vendicativo e punitore.

Perché questo è Al. Un “folle” che tanto vi girerà “attorno” sin a quando tutta la verità fuori salterà.

 

Colpo di (s)cena, mio “judge”, buonanotte...

 

Ci (ri)vediamo in tribunale!

Vai Al!

 

 

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