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Le porte del silenzio

Regia di Lucio Fulci vedi scheda film

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La recensione su Le porte del silenzio

di Antisistema
7 stelle

Lucio Fulci ha girato dall’inizio della sua carriera, oltre 50 film dei generi più disparati, spesso barcamenandosi tra budget miserrimi, tempo limitato sul set, ma anche tanta passione ed inventiva per cercare di sopperire a tali problematiche.
Il suo periodo di massima fama artistica, lo si può collocare all’incirca dal 1966/1969 fino al 1981/1982, dopodiché, con l'inizio degli anni 80', il suo cinema ha cominciato a perdere sempre più colpi, per via dell'aggravarsi del diabete e sia della crisi generale del cinema nostrano, specie quello di genere. All'inizio degli anni 90' Fulci era indubbiamente appannato e senza nessuno disponibile a finanziargli nuove opere, per sua fortuna Joe d'Amato si offre di produrgli “Le Porte del Silenzio”, progetto a lungo coltivato da Fulci e tratto da un racconto dello stesso regista “Le Porte del Nulla”, estrapolato dall’antologia “Le Lune Nere”.
Lucio Fulci ha dalla sua un budget di 400.000 dollari - tantissimi se comparati con le sue ultime produzioni travagliate -, un nobile attore decaduto del grande cinema americano anni 70’ come John Savage ed un piano di lavorazione di un mese, cosa che non gli capitava da anni.

 

“Le Porte del Silenzio” (1991) è il testamento artistico di un regista, che data anche la malattia, evidentemente sentiva la morte avvicinarsi, riversando nell’opera, tutta la sua angoscia esistenziale, in una pellicola dal tono funero, definibile come un incrocio tra “Il Settimo Sigillo” (1957) ed “Il Posto delle Fragole” (1957) di Ingmar Bergman, con “Duel” di Steven Spielberg (1971). 

Melvin Devereux (John Savage), ha appena finito di visitare la tomba del padre al cimitero di New Orleans in Louisiana, quando apprestandosi a far ritorno a casa, viene avvicinato da un’affascinante e misteriosa donna di colore (Sandi Schulz), che afferma di conoscerlo, seppur l'uomo dica di non ricordarsene.
Melvin liquida con sufficienza l'accaduto, decidendo di far ritorno a casa dove lo aspetta la famiglia, ma lungo il viaggio troverà innanzi sempre più ostacoli fisici, nonché l'opprimente presenza di un carro funebre, che lo precede sempre.
Il protagonista è un uomo di mezza età sempre proteso a guardare in avanti con lo sguardo, ma dall'aria imbolsita, essendo modellato sulle fattezze del suo interprete John Savage, il cui apice artistico - “Il Cacciatore” (1978) e “Hair” (1979) -, era oramai alle spalle da un pezzo.
Il percorso di Melvin viene spesso interrotto da segnali stradali di lavori in corso, che gli impediscono di percorrere le strade principali, obbligandolo a dover far uso di vie secondarie al limite dell'impraticabile, attraversando paesaggi desolati, zone degradate suburbane e paludi fangose. Luoghi differenti, ma tutti accomunati da un'aria di sospensione spazio-temporale, che rende difficile dare delle coordinate precise al viaggio compiuto, che diviene sempre più allucinato, come quel sole torrido ed asfissiante posto all'orizzonte.

 

La regia di Fulci è quadrata, sobria e priva di inutili virtuosismi, che non avrebbe neanche potuto permettersi, dato il budget misero.
Il regista punto tutto su una buona tensione, con venature di un mistero insormontabile, nelle sequenze in cui Melvin, si imbatte lungo il tragitto, nella presenza perenne di un carro funebre, che non vuole lasciarlo passare.
Fulci posizionando la macchina da presa frontalmente al protagonista, stacca spesso nel montaggio sull'acceleratore pigiato a tavoletta, inquadrando poi la ruota anteriore del veicolo; in tal modo il regista riesce a conferire maggior dinamismo “ossessivo” ad una scena che spesso di ripete, trasfigurando il tutto, in una sorta di duello metafisico tra il protagonista ed il “maledetto carro”, che nonostante si cerchi di evitare ad ogni costo, si ripresenta sempre uguale a sé stesso, assumendo le fattezze di un destino ineluttabile.

“Le Porte del Silenzio” è una pellicola che lascia parlare molto le immagini, relegando in secondo piano i dialoghi, conferendo così maggior indeterminatezza ad un racconto, che assume nello sviluppo atmosfere traslate, sempre più in una metafisicità onirica, affrontando tematiche come il tempo (orologio rotto), la morte, la vita e l'impossibilità di comunicare, mediante un approccio riflessivo alla materia, che permane sempre su un piano indefinito nel suo dipanarsi, come d'altronde è il viaggio di Melvin, che cerca varie volte di sfuggire alla “meta prefissata”, tentando in ogni modo di opporsi a tale disegno.

Ma il puzzle può assumere un’unica forma possibile, nell’assemblare le tessere dei flashback, flash forward o semplici visioni, che scaturiscono da uno stato mentale sempre più precario.


Un ultimo film davvero atipico, per un regista etichettato con superficialità dagli americani come il “godfather of gore”, quando i francesi usavano il più poetico, ma veritiero, “poeta del macabro”.
“Le Porte del Silenzio” è una pellicola totalmente priva di elementi splatter, sangue ed effetti speciali, venendo così etichettato come noioso e inutile dai suoi sostenitori, quando in realtà affronta una miriade di tematiche proprie di Fulci.
Un’opera quindi più che buona, specie se si tiene conto dei pochi soldi e del contesto storico d’uscita, quando il cinema di genere nostrano, era oramai alla fine.
I suoi difetti possono essere ricondotti ad una fotografia un po’ piatta nel complesso e dalla diluizione eccessiva del soggetto base, per giungere alla fatidica durata di 90 minuti, presentando per questo sequenze indubbiamente ripetitivi o inutili ai fini dell’economia della narrazione; su tutti la scena con la prostituta, la zia maga ed i troppi intoppi lungo il cammino.
Un fiasco totale a livello internazionale, nonostante l’obbligo di Fulci nel dover adottare lo pseudonimo “Henry Simon Kittay”, mentre in Italia il film venne distribuito nei cinema, anche per via del fallimento della casa di produzione “Filmirage”, tanto che si è dovuti attendere l'home video per poter visionare, quello che resterà a tutti gli effetti, il testamento artistico di Lucio Fulci, che morirà cinque anni dopo nel 1996, mentre si batteva con tutto sé stesso, per non essere confinato ad un relitto del passato, in quanto si sentiva di poter ancora fare abbastanza per il cinema.

 

locandina

Le porte del silenzio (1991): locandina

 

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