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007. La morte può attendere

Regia di Lee Tamahori vedi scheda film

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La recensione su 007. La morte può attendere

di Rosebud77
6 stelle

Il ventesimo ufficiale capitolo della serie di 007 arriva a quarant’anni di distanza dal primo. Sono cambiati attori, registi, storie, ma la spia britannica di Fleminghiana memoria con licenza di uccidere è sempre con noi. Ne LA MORTE PUO’ ATTENDERE, Pierce Brosnan - cinquant’anni suonati, sexy come non mai, al suo quarto ruolo nei panni di James Bond, e pare abbia firmato anche per un quinto - fa dell’imperturbabile agente segreto un combattente in grande spolvero: sopravvive a torture indicibili (magnificamente orchestrate su splendidi titoli di testa con corpi femminili algidi e fiammeggianti e title-track di Madonna, che appare anche in un pietoso cameo), guida hoovercrafts su campi minati e la mitica Aston Martin - che diventa anche invisibile - su piste innevate, sa tirare di scherma e inforca spade e pugnali, e per 140 minuti si ferma giusto il tempo di bere un paio di martini agitati ma non shakerati, dire qualche smaliziata battuta e rotolarsi tra le lenzuola con le moderne amazzoni di turno. La novità sta nel fatto che il neozelandese Lee Tamahori, sulla solita storia del megalomane miliardario deciso a separare le due Coree con un’arma che dire nucleare è dire poco, conferisce ad un’atmosfera plastica e visionaria una fisicità che ammicca al fumetto (la venere nera Halle Berry, che durante la riprese ha vinto l’Oscar e ha aumentato il suo cachet, più che una bond-girl sembra l’Eva Kent di Diabolik), e ha un senso del ritmo indiavolato e fantasioso, attaccato ai corpi come un guerriero sul suo nemico - più cattivo e anonimo che mai -, e mobilissimo. Tutto il film è la “personale” guerra di Bond tra la Corea, Cuba e la glaciale Islanda per salvare il mondo, il suo onore (guai a chi lo tradisce) e quello degli spaesatissimi servizi segreti, con una pirotecnica e incessante sequela di inseguimenti e scontri a due che tra diavolerie iper-tecnologiche, regge di ghiaccio e climi da Guerra Fredda sorvolano il ridicolo con un appeal scanzonato e per nulla serioso sul piano delle ideologie politiche ed umane (forse l’11 settembre ha insegnato qualcosa). Qualche accenno al cinema d’azione contemporaneo (Woo, ad esempio) e alcune auto-citazioni (la Berry che esce dall’acqua come Ursula Andress nel primo film) sono solo un pretesto per dirci che la linfa di Bond è lungi dall’esaurirsi, ma pronta ad evolversi. E in meglio (forse anche xXx ha insegnato qualcosa). Che la credibilità se ne vada pure a passeggio. Questo è Bond. James Bond.
(Francesco de Belvis, Roma)

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