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007. La morte può attendere

Regia di Lee Tamahori vedi scheda film

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La recensione su 007. La morte può attendere

di maso
2 stelle

 

Il peggior film della serie è secondo me "Al servizio segreto di sua maestà" (Pierce Brosnan)

Beh Pierce vuoi un consiglio spassionato da uno che a quel paese volente o nolente c'è andato spesso: "Vai a fare in culo te e quella testa di cazzo irlandese che sei" perché questo bel compleanno per i quarant'anni di James Bond organizzato dalla EON con te come festeggiato è l'apoteosi del cattivo gusto, dell'esagerazione tecnologica computer grafica, l'attualizzazione del personaggio ideato con finezza da Fleming che diventa una specie di stronzo invulnerabile e gradasso con un umorismo del piffero da inglese saccente che sa fare anche i bignè con il culo se necessario oltre ad esibirsi nel surf, nel kitesurf su onda tzunamica, nel dragster su ghiaccio, nella scherma con spade da venti chili l’una maneggiate come fioretti, nel pattinaggio a pneumatici Continental su un auto invisibile per non parlare della sequenza iniziale in cui viene torturato per quattordici mesi fra ingozzate di acqua gelata e scorpioni come passatempo giornaliero rimanendo di buon umore e in forma smagliante, insomma James Bond è diventato una specie di Iron Man senza armatura decretando quello che prima o poi doveva succedere e cioè la materializzazione di uno 007 abominevole in un film dove ogni cosa è chilometri sopra le righe ma gli acuti stridono in maniera da poterci rimanere secco all’istante altro che la morte può attebdere ma vatt’ammoriammazzato te adesso.

Il massacro opinionistico su questo vero e proprio pattume spionistico può iniziare tranquillamente dalla EON visto che le sfavillanti idee messe in pellicola sono le loro come quella brillantissima di ricalcare parzialmente la trama di “Diamonds are forever” riempendola di citazioni verbali e visive dagli altri film, ce ne sono una infinità: Bond chiede al nuovo Q se sta scherzando e lui risponde che non scherza mai sul lavoro come avveniva in “Goldfinger”, il lancio con il paracadute griffato union jack come avveniva in “La spia che mi amava”, la panoramica sulla sezione Q piena di vecchi gadgets come il coccodrillo da immersione di “Octopussy” o il jet pack di “Thunderball”, ok , bravi buon compleanno ma la trama partita bene con Bond torturato si vomita addosso un testo stracolmo di battutacce e doppi sensi in cui spiccano oltre a Brosnan già mostruoso di per se anche il suo nemico imbevibile Toby Stevens con un bagaglio di frasi fatte che svolazzano nell’aria senza sosta accompagnate dal suo sguardo diabolico non figlio del computer graphic e la Bond girl di turno dotata di un nome emblematico Jinx che significa sfiga interpretata da quella bella biga di Halle Barry imbarazzante come non mai, non so voi ma quel bel paio di noci di cocco che si porta davanti sono l’unico motivo per metterle gli occhi addosso quando è inquadrata poichè recita in maniera così artificiosa e fastidiosa che Denise Richards nel film precedente fa la figura della Bond girl più riuscita dell’intera saga, questi tre polli di allevamento coccodeano per tutto il film sbatacchiati fra Cuba, Inghilterra ed Islanda mentre Tamahori in cabina di regia ci da dentro con qualche giro di  manovella e una vagonata di bottoni schiacciati su effetti computerizzati fatti anche male che dissolvono la tensione già latitante per gran parte delle scene d’azione che come sempre suscitano emozioni vere quando sono umanamente veritiere: l’intro sull’overcraft  e soprattutto la sfida sudaticcia e sanguinolenta a fil di lama nel club di scherma dove fa una comparsata anche Madonna che ha firmato la canzonaccia del film che per non far torto al resto è totalmente priva di sonorità bondiane d’atmosfera ma ricca di campioni sintetizzati e di una parte vocalica incantabile.

L’insieme plastificato emerge più o meno ovunque: dalla realtà virtuale al tuffo di Jinx da una trentina di chilometri di strapiombo, dal satellite sega pak alla intermittente scena di lotta fra i laser fino al nauseabondo finale sull’aereo dove si svolge il doppio corpo a corpo fra Bond e Graves e Jinx e Miranda Frost, un campionario di americanate made in England in cui Bond fa la parte del burattino di M, interpretata ancora da Judy Dench che a me non garba gran che in questo ruolo, e  indirettamente di Michael Madsen che spacconeggia fra gli snodi con il suo tronfio savoir faire da boss mafioso della CIA.

Non credo ci sia molto da aggiungere su questa abominevole creatura che incassò parecchio ma fu odiata da tutti allora ed è schifata da molti adesso anche dagli stessi produttori che si accorsero fin da subito che questo film ha iniziato e terminato allo stesso tempo un nuovo corso che la serie non avrebbe mai dovuto intraprendere perché privo della classe e l’atmosfera che anche nelle entrate più deludenti non erano mai mancate, basta confrontare l’amplesso con espressione di libidine fra Brosnan e la Barry con la scena d’amore fra Sean Connery e Daniela Bianchi di quasi quarant’anni prima per capire cosa intendo.

Brosnan per sopraggiunti limiti di età non ritornerà nei panni di James Bond  un po’ per le critiche piovutegli  fra capo e collo e soprattutto perché la EON volle distanziarsi da questo passo falso ed evitare di ricadere nell’errore di avere un Bond da terza età commesso con Moore ai tempi di “Bersaglio Mobile”, l’arrivo di Daniel Craig ed un radicale ritorno alle origini riporterà Bond alla sua condizione di spia capace anche di soffrire ed avere dei sentimenti oltre a saper lottare nel capitolo successivo che sancirà quella che è una vera e propria rinascita della serie.

Caro Brosnan il peggior Bond della serie è il tuo bel faccino da culo in questo film.

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