Regia di Ang Lee vedi scheda film
Dopo 15 anni, l’allora bistrattato Hulk di Ang Lee continua a venire bollato da molti come un filmaccio da dimenticare, ma oggi come ieri tali considerazioni suonano precipitose ed ingiuste: si tratta, infatti, del migliore esempio di cinecomic “autoriale” assieme al secondo Spider-Man di Raimi e ai Batman di Burton.
Figlio di un periodo in cui i produttori volevano ancora correre il rischio di affidarsi alla visione del regista per progetti come questo (e forse sarà stato proprio il suo flop a far rivedere certe priorità?), la prima trasposizione cinematografica sul gigante verde è un film complesso e profondo, ambizioso ed incompreso, che unisce all’azione un dramma intimista come mai si era visto prima né si è poi visto successivamente in un cinecomic.
La genesi del personaggio è costruita benissimo dagli sceneggiatori, con Bruce Banner vittima indiretta degli esperimenti genetici di suo padre e tormentato da un terribile trauma infantile infertogli proprio da quest’ultimo. Il suo inconscio e le alterazioni genetiche creano di fatto Hulk, e la successiva esposizione ai raggi gamma non fa altro che “svegliare” il mostro, anziché dargli vita dal nulla.
Quando la creatura viene sprigionata, quindi, assieme alla voglia di vedergli spaccare tutto non si può fare a meno di provare profonda empatia, cosa che crea un’esperienza cinematografica differente, a cui non per forza si è preparati. Ma c’è anche l’azione, perché a dispetto dell’approccio “inedito” Hulk non si dimentica di venire dai fumetti.
Il dramma è intenso, adulto, potenzialmente indigesto per i più piccoli (anche se io l’ho visto ad otto anni e l’ho amato già allora, forse aiutato da Jennifer Connelly), impreziosito da performance eccellenti (su tutti, Nick Nolte), ma quando il film deve spaccare, spacca. E spacca benissimo! La CGI oggi può apparire limitata, ma per l’epoca era molto all’avanguardia, e continuo a trovare il gigante molto efficace a più riprese (non sempre, ma mediamente funziona benissimo). Diversi i momenti potenti e spettacolari che rimangono impressi nella memoria: su tutti la fuga di Hulk dal laboratorio fino a San Francisco e l’epico, cupissimo scontro finale.
Il montaggio e la regia realizzano in diversi momenti un bizzarro effetto vignetta per dare l’impressione che si stia assistendo ad un albo a fumetti che prende vita: il risultato, anziché posticcio, è peculiare ed interessante. Si può anzi dire che aggiunga persino suspense e pathos ad alcune sequenze, con l’aiuto delle fantastiche musiche di Danny Elfman (anche qui: score musicali con una personalità, altra cosa che non esiste più).
In definitiva, si tratta di un'opera sperimentale ed autoriale di quelle che i grandi studios hanno ormai paura o semplice disinteresse a produrre, la prova che possono esistere film sia profondamente umani che spettacolari, ma anche che probabilmente il grande pubblico vuole o una cosa, o l’altra.
Intanto, per chi lo apprezzò all'epoca ed avesse voglia di rivederlo, resta un mezzo (ma anche tutto) capolavoro.
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