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Il cielo sopra Berlino

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Il cielo sopra Berlino

di Serum
6 stelle

Due angeli provenienti dalle profondità del tempo svolgono il loro compito di sempre: tentare di portare un po' di sollievo in un mondo schiacciato dalla sofferenza. Ma uno di loro vuole qualcosa di più (o di meno, dipende dai punti di vista): vivere la vita di un comune mortale, sottrarsi all'eternità per potersi percepire come unico ed irripetibile bagliore di luce nell'infinito. Ed in tutto questo la società umana si manifesta con leggiadra decadenza: suicidi, povertà, guerre, tristezza, superficialità, cattiveria, segregazione. La visione prospettica che hanno degli esseri umani è tanto orrenda quanto attraente proprio in virtù dell'intensa e policromatica imperfezione in cui gli hanno sempre visti sguazzare, rafforzato dal rapporto profondo (a dispetto dei tentativi di antropizzazione convulsa) che essi hanno nei confronti della propria realtà. Il problema fondamentale di questo film (ma in generale di buona parte della produzione di Wenders) è che una volta grattata la superficie è molto più banale di quanto voglia apparire. L'ambientazione berlinese è (ovviamente) suggestiva ma è lasciata in secondo piano per privilegiare ritratti umani vacui, quasi caricaturali, conditi da dialoghi di un didascalismo a tratti esasperante, e conflitti esistenziali ridotti a parentesi insipide che spesso girano su loro stesse senza arrivare da nessuna parte. Le citazioni atte a contestualizzare storicamente la vicenda, per quanto ben distribuite, sono da salottino (il tenente Colombo, Nick Cave, l'industrial tedesco, la morte dell'arte circense). La vicenda è fondamentalmente la sagra del luogo comune (l'immortale che vuole assaporare l'irripetibilità della vita umana, con tutti i contorni melodrammatici che ciò comporta) e non ci sono guizzi o intuizioni narrative che ne mitighino la risaputezza. Certo Wenders ha un gusto estetico notevole e riesce ad impreziosire il tutto sapientemente, senza strafare con virtuosismi fuori luogo (non è mai kitsch) e creando immagini davvero suggestive, senza mai né diventare irritante né sconfinare nel puro e meccanico formalismo, ma è un film in sé troppo pretenziosamente siderale per poter emozionare sul serio. E di qualunque cosa si voglia parlare, Peter Falk nei panni di un angelo caduto è credibile come lo sarebbe Danny DeVito in quelli di Superman.

 

 

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