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Il cielo sopra Berlino

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Il cielo sopra Berlino

di LorCio
7 stelle

Dopo la trasferta americana dei primi anni ottanta, il tedesco Wim Wenders tornò in patria, quasi alla ricerca del tempo perduto o almeno dell’infanzia nascosta. C’è subito da dire che Il cielo sopra Berlino nasce in un momento della vita professionale del regista molto particolare: Fino alla fine del mondo, il film che progettava dal 1984, non riusciva ad andare in porto (fu realizzato solo sei anni dopo) e Wenders aveva il bisogno di girare una pellicola veloce che potesse tenerlo occupato in quel periodo di transizione. Ne nacque quindi un’opera spontanea, generata dall’impulso di fotografare una realtà immaginaria, scritta con l’aiuto di Peter Handke. Due angeli (gli eccelsi Bruno Ganz e Otto Sander) scendono dal cielo a Berlino e osservano il comportamento degli esseri umani, non potendo fare niente per aiutarli. Gente inquieta, tormentata, che vive ancora in una città divisa dal muro, presenza imponente ed angosciante. Quando uno dei due s’innamora di una trapezista francese (Solveig Dommartin: che primi piani!), decide di abbandonare lo stato di angelo, e dunque rinunciare all’immortalità, per divenire uomo, mortale. E non è stato l’unico ad esprimere questo desiderio, altri prima di lui l’hanno manifestato…

 

Nonostante la prolissità di molti passaggi, la faticosa comprensione di alcuni dialoghi, una certa pretenziosità talora dimostrata, è un affascinate film elegiaco e malinconico, una favola moderna che trasmette molti messaggi indirettamente potenti (mai rinunciare all’amore, rispettare il prossimo, credere nella vita, rifiutare l’egoismo…). Berlino è il suo ideale teatro, un luogo perennemente inquieto nella sua amara condizione d’essere. Non mancano difetti, che ormai fanno parte della cultura cinematografia di Wenders e sono proprio quelli a rendere il film non sempre fluido, straniante, disorientante. Rimane una delle opere più emblematiche e significative degli anni ottanta, con molte belle immagini (il simbolismo della biblioteca, del muro, della corazza), un intelligente uso del bianco/nero (quando in scena vi sono gli angeli) e del colore (quando il protagonista della scena è un umano) e un sottofondo musicale che prende parte in prima persona all’azione. Premiato con il premio della miglior regia al quarantesimo Festival di Cannes, è il film di Wenders che più è rimasto impresso nella memoria collettiva insieme a Nel corso del tempo e a Paris, Texas. Menzione speciale alla presenza straniante di Peter Falk.

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