La recensione su Duel

Era da parecchio tempo che non vedevo questo Film, esordio ufficiale di Spielberg alla regia di un lungometraggio cinematografico (anche se in realtà l'opera era nata come prodotto televisivo, solo successivamente proiettato nelle sale: inoltre pare che Spielberg avesse già diretto da giovanissimo un lungometraggio, a quanto pare semi-amatoriale, proiettato in qualche piccola saletta, ma il film credo sia andato perduto). Visto alle medie, quando le mie idee sul Cinema erano molto più ingenue rispetto ad oggi (però quasi paradossalmente mi sa che in proporzione guardavo molti più making of all'epoca rispetto ad ora) e Spielberg era il mio regista prediletto, ricordo che mi colpì subito: forse sto reinterpretando il passato a posteriori, ma credo che da quando lo vidi, o comunque nel giro di pochi mesi/anni, è sempre stato l'Opera da me prediletta del Regista, e questa convinzione si è consolidata col tempo, quando evolvendo/approfondendo la mia visione sul Cinema ho man mano ridimensionato le mie considerazioni sull'autore.
Tornando a "Duel" e alla visione odierna (decisa in occasione del 72° compleanno del cineasta), confermo in buonissima parte la mia predilezione per questo Titolo all'interno della filmografia spielberghiana, ma se prima lo ritenevo un Capolavoro quasi assoluto ora, in seguito ad alcuni aspetti riosservati, metterei profondamente in discussione questa mia convinzione. In particolare, l'uso della voce fuori campo per esprimere verbalmente le paranoie del Protagonista David, soprattutto nella scena al Diner, non riesco a farla coincidere con la mia personale "disapprovazione" (salvo in alcuni rari casi) per questo tipo di espediente. Come in "The Haunting" di Wise, anche qui secondo me la Macchina da presa, aiutata dal Montaggio e dalla straordinaria interpretazione di Dennis Weaver, riusciva a far entrare egregiamente nella pelle dell'individuo spettatore l'Angoscia, il Disagio e appunto la Paranoia provata dal Protagonista, senza aver bisogno della voce fuori campo per sottolineare i suoi pensieri e, anzi, credo che questa intrusione monologante tenda quasi ad appiattire l'Impatto emotivo delle Scene. Comunque, si tratta di una critica sostanzialmente soggettiva, e in ogni caso la grande abilità di Spielberg nel costruire, coi movimenti di macchina: nella scena al Diner si assiste ad un bel piano sequenza con macchina a spalla quando David entra nel locale per poi dirigersi al bagno; successivamente, una volta visto il camion fuori dall'edificio e colpito dal pensiero che l'Autista sia lì con lui, troviamo un'ottima gestione della messa a fuoco, del Montaggio, dell'uso di Soggettive per momenti immaginati dall'uomo, e così via. In tutto il Film l'Autore dimostra di saper costruire una Tensione palpabile, nevrotica, irrazionale, spronando il proprio Pubblico a mettere in Dubbio la stessa sanità mentale del Protagonista aprendo possibili Dubbi sulla propria esistenza: non vedendo mai in volto l'Autista del Camion, si può quasi dire che la Lotta di David sia contro la propria stessa Paura, e il ritratto che esce dell'Uomo è qualcosa di in bilico tra patetismo dello statunitense medio-piccolo borghese e ricordo ancestrale di un Animale sotto attacco, la quale deve riuscire a diventare Predatore se vuole evitare di soccombere come Preda.
Intanto chiuderei qui i miei pensieri su quest'Opera: anche se alla fine forse non sarei più così propenso a definirla un Capolavoro come invece facevo in passato, resta comunque ai miei occhi uno dei Lavori più genuinamente personali, artistici, autenticamente autoriali di Steven Spielberg, e forse continuerà ad essere per lungo tempo ancora il suo Film da me preferito.