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Duel

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su Duel

di giurista81
7 stelle

Film per la TV ispirato a un racconto di Richard Matheson, il celebre scrittore tra gli altri di Io Sono Leggenda, celebre per aver lanciato Steven Spielberg nel mondo del cinema. Nel giro di tre anni, il grande regista debutterà alla regia cinematografica con Sugarland Express dando avvio a una delle più titolate carriere del settore, ma prima ancora del suo debutto ufficiale i produttori di Duel lo convinsero a girare delle scene integrative, in modo da ampliare la durata di poco superiore al format del mediometraggio, per far uscire lo stesso Duel al cinema.

Duel è un B-Movie a tutti gli effetti, giocato sulla costante tensione, senza particolari trucchi se non l'abile uso della macchina da presa e delle trovate di sceneggiatura. E' la pazza lotta sulla strada tra un cittadino di tutti i giorni, tale Dave Mann, e un misterioso camionista che indossa stivali da cowboy e che Spielberg non mostra mai per tutto il corso dell'opera e di cui non sappiamo assolutamente niente. Curiosa la scelta del nome del protagonista, interpretato dal veterano Dennis Weaver (che ricordo anche nello spaghetti western Sledge diretto da Vic Morrow che perderà poi la vita su un set di Spielberg, Ai Confini della Realtà, decapitato dalle pale di un elicottero), con alcuni che leggono un rimando biblico al DAVIDE (Dave) che osò sfidare il gigante GOLIA (Mann, è anche il nome di una nota marca di camion). Da sottolineare anche l'auto del fuggitivo, una Plymouth Valiant (nome quest'ultimo di un celebre pilota di auto sportive dei fumetti francesi, Vaillant ovvero sempre da tradurre quale "valoroso"), incapace però di staccare il camion che, evidentemente, come sospetta il protagonista, è truccato.

Soggetto e sceneggiatura, dunque, semplici, ma usate alla grande da Spielberg che da vita a un lungo e variegato inseguimento stradale, con il camionista che gioca letteralmente al gatto col topo col suo rivale, dapprima in modo ambiguo poi sempre più evidente e plateale, il tutto in un contesto ambientale desertico dove vedere passare altre auto o stazioni di servizio è poco più di un'utopia. Nessuna traccia della polizia. La sequenza cult, a mio avviso, è quella in cui Weaver, dopo aver controllato l'auto in una sbandata dovuta dall'atteggiamento del camionista che gli sta incollato negli scarichi, esce dall'auto e si rifugia in un bar. Qui, dopo essersi rinfrescato al bagno, inizia a convincersi di averla fatta franca, ma non appena rimette piede in sala vede il camion fuori nel parcheggio: lo sconosciuto guidatore è qualcuno che è seduto al bar, lì vicino a lui, ma chi è? Segue un momento in cui Matheson sembra aver voluto omaggiare Agatha Christie e il suo celebre Dieci Piccoli Indiani. Spielberg fa cadere gli indizi su clienti che poi escono e che nulla  hanno a che vedere col camionista. Weaver, a un certo punto, perde la pazienza, dopo una decina di ragionamenti messi in scena con la soluzione della voce narrante, e prende a caso uno dei clienti, azzardando di aver capito chi sia il suo molestatore. Rimedia solo un paio di schiaffi e una brutta figuraccia. Scena apice del film, a mio avviso. 

Spielberg gira il tutto in tredici giorni, non è dato sapere che aspettative avesse di certo il film ha immediato successo e ispirerà, nel corso degli anni e in epoche diverse, decine di pellicole come La Macchina Nera, ConvoyHighwaymen Radio Killer tanto per citarne alcuni, divenendo uno dei modelli di riferimento del sottogenere del road-movie. Citato anche da Dylan Dog e da altri fumetti, è stato ricordato anche in altri campi come a esempio nell'ippica italiana dove nel 1972, anno dopo l'uscita del film, nacque un cavallo a cui fu dato il nome Duel e che, alcuni anni dopo, nel 1977, completò una storica doppietta nel Gran Premio Merano (principale corsa in ostacoli in Italia) terminando secondo alle spalle del compagno di colori Red Chief (scuderia Lady M). Musica un po' anonima, fotografia convenzionale. L'epilogo sarà omaggiato da Danko di Walter Hill.

Vivido esempio di come fare un cult a budget ridotto. Premiato al Festival Internazionale del Film Fantastico di Avoriaz dove, un tempo, anche l'Italia sapeva trionfare, basti ricordare Deliria di Soavi prodotto dal JOE nazionale, quando evadeva da un hardcore all'altro

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