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Dark Water

Regia di Hideo Nakata vedi scheda film

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La recensione su Dark Water

di degoffro
6 stelle

Da Hideo Nakata, autore del celebre "The ring" - quello originale giapponese - un altro horror (ma è giusto considerarlo tale, visto che più che altro sembra uno straziante melodramma, a tratti fin troppo sentimentale, incentrato sul difficile ed instabile rapporto madre figlia) tratto, come "The ring", da un'opera di Kôji Suzuki, lo Stephen King nipponico. In questo caso si tratta di un breve racconto di una quarantina di pagine intitolato "Corpi galleggianti" ed inserito in una raccolta di storie del terrore dello stesso autore, dal titolo "Dark water", appunto, aventi come minimo comun denominatore l'acqua. La critica specializzata ha elevato ben presto questo film, con travolgente e disinvolto entusiasmo, quindi leggermente sospetto, al rango di cult. Troppa grazia. Non c'è dubbio che, specie nella prima parte, Nakata sfrutti a meraviglia l'ambientazione cupa, minacciosa, decadente, oppressiva, umida, assillante (un palazzo fatiscente, putrido, malsano e misterioso) e crei una tensione sottile ed insinuante partendo da elementi quotidiani, ordinari, domestici (una macchia di umidità sul soffitto), dilatando i momenti di suspence e stando attento a trasmettere palpabile angoscia più che a suscitare facili spaventi. I venti minuti finali poi (a partire da quando la mamma sale per l'ultima volta sul tetto e scopre l'atroce verità sulle visioni che la perseguitano), prima del posticcio ed inutile epilogo "dieci anni dopo", sono semplicemente straordinari, perfetto esempio di cinema di paura con un crescendo inarrestabile di terrore. In particolare spiccano tre sequenze shock notevoli e davvero impressionanti: la ciocca di capelli che esce dal rubinetto, Ikuko "assorbita" nella vasca piena d'acqua che continua a pullulare, la sconvolgente rivelazione per la mamma di Ikuko sulla reale identità della bimba che ha portato con sé nell'ascensore, nella fallace convinzione che fosse la sua Ikuko. E Mitsuko, la bimba/fantasma precipitata nella cisterna del palazzo per recuperare la sua borsetta, che chiede aiuto, si sforza di ottenere da morta ciò che avrebbe avuto in diritto di ottenere da viva, vale a dire una mamma da poter finalmente riabbracciare, ha un qualcosa di poetico, quasi commovente, così come effettivamente dolorosa è l'immagine di quella madre debole, fragile ed anemica che si toglie la vita (l’allontanamento con il cadavere di Mitsuko). Splendida la fotografia che evita un bianco e nero troppo scontato, optando per colori scialbi che depurano il palazzo da ogni umanità, facendone un teatro spaventoso di orrore metropolitano. Unico tocco di colore vero, la borsetta rosso accesso appartenuta a Mitsuko e che ricompare di continuo senza spiegazione. Il resto, purtroppo, affoga, è proprio il caso di dirlo, comunque elegantemente e dignitosamente, nel mare magnum acquitrinoso del dejà vu, a partire dai soliti passi furtivi al piano di sopra, per passare alla mamma presa per pazza e sull'orlo di una costante crisi di nervi, fino al fantasma di bambina dai lunghi capelli neri (espediente ormai eccessivamente abusato). E la noia, nella troppo diluita ed evanescente parte centrale, regna sovrana, tanto che il film si fa ripetitivo e ridondante, il che è inevitabile data anche la brevità del racconto da cui Nakata ha preso le mosse, forse più adatta per un corto: così la madre, sempre nervosa ed isterica, è perennemente in cerca della figlia, brava a volatilizzarsi nei momenti meno opportuni, per poi ricomparire con l'immancabile borsetta rossa, ed è puntualmente irritata con il marito che, a suo dire, vorrebbe con ogni mezzo, lecito o meno (ha comunicato ai giudici che la ex moglie in passato ha avuto bisogno di serie cure psichiatriche), portarle via la piccola. In questo senso un ritratto più che convincente ed effettivamente pauroso sulla difficoltà per la donna moderna di conciliare carriera e famiglia, quasi la versione dark di "Un giorno per caso". Meritevole di segnalazione comunque, in questa parte centrale, la sequenza in cui Ikuko, giocando a nascondino all'asilo, vede i passi della bimba fantasma avvicinarsi a lei e contemporaneamente dal pavimento inizia a fluire dell'acqua. Prodotto impeccabile ed accattivante certo, ma tutt'altro che memorabile ed originale con molti debiti nei confronti del già non proprio esaltante "Le verità nascoste" di Zemeckis, oltre che verso "Operazione paura" di Mario Bava (incentrato su un'inquietante bambina che appariva a persone prossime a morire e caratterizzato da diverse immagini che mostrano l'incedere della bambina, inquadrata solo nelle sue scarpine) e ovviamente verso "Shining" di Stanley Kubrick (omaggiato esplicitamente non solo nelle continue lunghe riprese dei corridoi del palazzo ma anche nella sequenza in cui la piccola Ikuko si trova davanti all’ascensore e un'esplosione di acqua la butta a terra). Ottima in ogni caso la prova delle due protagoniste Hitomi Kuroki (la mamma) e Rio Kanno (Ikuko) e perfetto il soffuso commento musicale di Kawai Kenji. Pregevole poi il fatto che si eviti lo splatter fastidioso o l'effettistica dirompente e dilagante che rovinano progressivamente gli analoghi e più stitici ed anonimi prodotti statunitensi. Qui quanto meno più che mostrare si suggerisce. Forse è però il caso di rivalutare con maggiore oggettività certo cinema di genere proveniente da oriente, cinema che sembra cullarsi troppo su stereotipi ormai stracotti: non tutto è ora quel che luccica. "Dark Water" è lì a dimostrarlo. Rifatto nel 2005 da Walter Salles per la Buena Vista con protagonista Jennifer Connelly. Il titolo originale "Honogurai mizu no soko kara" letteralmente significa "dal profondo dell'acqua torbida". Vincitore di premi al "Bruxelles International Festival of fantasy film", al "Gérardmer Film Festival" e al "Catalonian International Film Festival".
Voto: 6/7.

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