Espandi menu
cerca
The Girl with the Needle

Regia di Magnus von Horn vedi scheda film

Recensioni

L'autore

yume

yume

Iscritto dal 19 settembre 2010 Vai al suo profilo
  • Seguaci 121
  • Post 119
  • Recensioni 634
  • Playlist 47
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Girl with the Needle

di yume
8 stelle

Un racconto gotico attraversato dalla donna di tutti i tempi, di tutti i continenti, di tutte le povertà.

locandina

The Girl with the Needle (2024): locandina

Danimarca 1919. La vicenda della serial killer Dagmar Johanne Amalie Overby, assassina di neonati, occupò a lungo le prime pagine dei giornali, tutti si scandalizzarono, tutti inorridirono, tutti proclamarono “Il mondo è un posto orribile”, ma poi aggiunsero "Ma dobbiamo credere che non sia così", e tutti tornarono alle proprie faccende.

Ma andiamo con ordine.

Magnus von Horn presenta a Cannes 2024 un film su una storia vera del post Grande Guerra, in una Copenaghen sporca e fangosa di vicoli bui e stanze sordide, dove Karoline tenta di sopravvivere da sola. Del marito in guerra non arrivano notizie da tanto tempo.

Prima dei titoli, sullo schermo nero pece, volti infernali, contorti, agonizzanti, disperati, in sovrapposizione o singolarmente emergono dal buio e non lasciano spazio a dubbi su quello che sarà rappresentato.

scena

The Girl with the Needle (2024): scena

Entra in scena Karoline (Vic Carmen Sonne, già ammirata in Godland di Hlynur Pálmason e Holiday di Isabella Eklöf) per essere sfrattata in quanto insolvente dalla stanza che occupa.

Forse una volta era bella, ora è segnata dalla povertà, lavora in una grande sartoria dove  donne allineate come polli in batteria cuciono uniformi per soldati e la stanza che troverà per 15 corone a settimana è una topaia degna di questo nome.

Il marito è scomparso, forse morto, ma senza un certificato non può avere l’assegno da vedova; l’affittacamere non è cattivo, anzi, è perfino gentile, ma lei non può pagare; il direttore della fabbrica è un garbato giovin signore bello e biondo, forse perchè claudicante ha qualche problema con le donne, ma vuol aiutarla, vedremo ben presto come.

Questi i tre uomini della sua triste vita. Quando conoscerà una donna scoprirà che si può essere umani anche macchiandosi di orribili delitti.

La prima sezione del film si svolge nella cornice della fabbrica, con le operaie che escono dal cancello che sembra di essere davanti all’uscita dalle officine Lumière.

Karoline si stacca dal gruppo e fa il suo primo sbaglio, aspetta che esca lui, il padrone che le ha offerto le caldarroste nel parco qualche giorno prima. Comprensibile, nel suo vuoto, che uno sguardo, una caldarrosta, una festa in fabbrica perché la guerra è finita, insomma, per molto meno a volte ci si può illudere di essere umani. In questo ultimo momento di serenità la nostra Karoline cede e si ritrova incinta.

Ma non basta, torna il marito orribilmente sfigurato nel volto e costretto a portare una maschera. Karoline è affranta, il padrone la cerca, la vuole, quest’ uomo-mostro non può impedirle il suo sogno e lei lo scaccia. Il pover’uomo finirà nei baracconi di un Circo.

Non va meglio a Karoline, forse una giustizia superiore vuol punirla per il suo egoismo, e se il padrone, che non è cattivo, forse un po’scioccherello, la sposerebbe pure, c’è la superba e ricca madre baronessa che comanda e la scaccia via, licenziandola per di più.

“Mi dispiace, forse siamo stati un po’ precipitosi” fa lui, e si scioglie in pianto. La vecchia l’ha minacciato di tagliargli i fondi, e non c’è argomento più persuasivo.

Per la povera Karoline, buttata fuori col suo bel vestito della festa e una manciata di soldi, riprende il calvario, ma stavolta c’è un ago ad aspettarla, la fanciulla con l’ago, appunto.

Ma  non quello che si rompeva sempre quando lavorava in fabbrica, questo è un bell’agone lungo da infilare nell’utero e abortire nella vasca di un bagno pubblico per poveri.

locandina

The Girl with the Needle (2024): locandina

La salva una donna carismatica, Dagmar (Trine Dryholm) che gestisce un traffico di adozioni illegali dietro copertura del suo negozio di dolciumi. Quando non riesce a piazzare il bimbo lo elimina, convinta in questo di far del bene a lui e alle madri che se ne volevano sbarazzare. Brutta storia, ma le cose vanno sempre considerate da più punti di vista.

Il grido “Assassina!”, “Dov’è il mio bambino?” al processo non ci emoziona neanche un po’.

Dall’incontro delle due donne in avanti l’intreccio prende strade contorte, brulicanti di angoscia, ma la sofferenza estrema non assume caratteri di miserabilismo, piuttosto porta in superficie il cinismo e l’algida freddezza di un mondo in cui l’homo homini lupus è regola costante per la sopravvivenza.

In questo mondo Karoline riesce a trovare anche sprazzi di luce. Ignara dei loschi traffici della nuova amica da cui si reca a vivere, ancora una volta si illude che nell’Universo ci sia un angolino tutto per lei.

Non è così e di passo in passo il crimine disinvoltamente reiterato da Dagmar viene scoperto, Karoline è complice ignara, ma la giustizia non va per il sottile e lei sceglierà la strada più breve.

Von Horn dà vita ad un film cupo, alieno da interessi commerciali. Distribuzione infatti quasi inesistente (almeno in Italia) a fronte di una bellezza che solo nei gironi danteschi.

La ricerca di tenerezza e di rettitudine di Karoline traspare nei gesti, nel volto sofferente e scavato, negli occhi che chiedono amicizia, amore, aiuto.

Un racconto gotico attraversato dalla donna di tutti i tempi, di tutti i continenti, di tutte le povertà.

Lo squallore monocromatico dell’ambientazione fa pensare ad una discesa agli Inferi priva della speranza della visione divina.

Eppure Von Horn chiude con un finale vagamente consolatorio e surreale, e allora ci si chiede perché un dramma in cui ci sono guerra, infanticidio, tradimento, povertà spregiata dalla ricchezza, il peggio di quanto l’uomo possa mettere in campo in una vita sola, riesca ad aprirsi alla speranza, all’amore, alle piccole cose della vita di ogni giorno.

Ma cosa diceva Calderòn? Che è la vita? Una follia. Che è la vita? Un’illusione, un’ombra, una finzione, ed è piccolo il più gran bene, perché tutta la vita è un sogno ed i sogni sono un sogno.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

 

 

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati