Regia di Jia Zhang-ke vedi scheda film
Generazione romantica (2024): locandina
La stretta vicinanza di Generazione romantica e Still life del 2006 è innegabile, stesse vite separate da anni, stessi amori inconclusi, stesse macerie del passato e voli verso un futuro diventato un presente irriconoscibile.
2001, Datong, Cina settentrionale, una giovane coppia di innamorati e la vita spensierata in un Paese dove, tra vecchio che sopravvive e nuovo ancora in attesa di esplodere, si riesce a stare senza troppi traumi.
Dura poco, i due sono trascinati in pochi anni nel vortice della modernità, la Cina entra nella World Trade Organization, vecchie sale da ballo sono invase da luci psichedeliche e disco dance, giri di affari loschi e molto redditizi attraggono lui e lo portano lontano. Non torna per anni e quando lo fa, nel finale del film, è un relitto, un fallito.
Lei lo ha cercato, quando era ancora possibile gli ha teso le mani abbracciando il vuoto.
Ora quelle mani servono per allacciare le stringhe sciolte della scarpa dell’uomo, sciancato che evidentemente fa fatica a farlo da solo.
Un gesto pietoso, nulla più, le donne ne sono capaci ma poi volano via, un gruppo di cammino e via, in marcia di allenamento, per restare giovani, per non cedere le armi, perché sorridere e ridere è l’unica arma che resta, e la più invincibile.
Venti anni è durata la creazione di Generazione romantica, in parallelo con il resto della sua produzione Jia Zhang-ke l’ha fatto vivere con sé, girandolo ha raccolto pezzi da altre produzioni, ha guardato il mondo cambiare e gli attori invecchiare. Venti anni una volta erano un lungo tempo, nel terzo millennio sono un giorno, ci si addormenta la sera in un secolo e ci si sveglia il mattino in un altro, e allora le parole non servono più, Qiaoqiao e Bin hanno attraversato venti anni della loro vita in un mondo che cambiava troppo in fretta e ora, 2020, restano gli occhi, solo sguardi dietro le orribili mascherine anti Covid che hanno tolto quel po’ che restava, il sorriso.
In quel sordido mondo alterato da immensi centri commerciali dove parlare con un robot che ti chiede come stai e si accorge perfino che sei triste sembra normale, dove ponti capolavoro di ingegneria sono lanciati come frecce nello spazio a unire due sponde e dighe grandiose (quella delle Tre Gole, imbattibile) hanno sommerso interi paesi e storie, vite di uomini e donne, ricordi e tracce, in quel sordido mondo un uomo e una dona s’incontrano di nuovo per uno di quei miracoli che solo al cinema.
Purtroppo non è un happy end, di quelli che il cinema hollywoodiano ci ha propinato per decenni.
Jia Zhang-ke parla delle grandi trasformazioni nazionali vissute a partire dalla microstoria di piccoli uomini, per anni ha seguito le tappe del suo popolo, le ha tradotte in cinema, ne ha documentato in tutte le forme possibili del documentario e della fiction la verità vera, quella che sfugge, si mimetizza, illude.
Restringendo l’obiettivo e lasciando in campo lungo lo sfondo fatto di spazi immensi, bellissimi e struggenti, ha puntato su due esseri umani come tanti, come miliardi di esseri umani travolti da ondate altissime, tsunami da cui ti salvi solo con un po’ di fortuna.
Ma resti solo, perdi la parola e, se ti rimane qualcosa, è solo un po’ di memoria triste.
Jia Zhang-ke non si arrende, sa che la sua battaglia è perdente ma non getta le armi.
Cinque anni fa aveva girato Swimming Out Till the Sea Turns Blue, uno straordinario reportage tra storia e memoria presentato a Berlino70, che raccontava la storia della Cina comunista attraverso le interviste a quattro autori di spicco della Cina contemporanea.
Partendo dalla convinzione cheCi sono posti in cui il cinema può andare dove altre arti non possono, ci ha raccontato la rivoluzione di Mao e i primi grandi cambiamenti.
Ma quello che è successo dopo è tutto in Generazione romantica, dove è forte la sensazione di essere arrivati al capolinea. Per questo occorreva una stazione di controllo fissa, una specie di contatore geiger di radiazioni dannose che registrasse per venti anni i danni.
Irreparabili, non si torna indietro.
Cinque anni fa il regista ancora diceva: Quando ero piccolo il mare era giallo, ma i libri di testo dicevano che era blu. Un giorno penso che nuoterò fino al largo, nuoterò finchè il mare diventa blu.
Se si riesce a nuotare tanto senza affogare arriverà il miracolo e il mare tornerà blu, ci possiamo contare.
www.paoladigiuseppe.it
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