Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Caccia al ladro. Caccia al figlio. Caccia al padre. L'ultimo, frenetico, divertissement di Mr. Steven Spielberg, racconta una ricerca dalla duplice matrice crimino-generazionale. Nelle gesta del baby imbroglione Frank Abagnale, un po' Peter Pan, un po' Arsenio Lupin, e, soprattutto, nel suo rapporto di odio amore con l'agente dell'Fbi che vuole stanarlo, Spielberg rintraccia una delle sue costanti narrative, quella della famiglia minacciata dal mondo esterno. Qui è il Fisco a mettere alle strette Abagnale Sr. e a provocare lo sfacelo della Casa: la madre si risistema col miglior amico del marito, il cui conto in banca è rimasto intatto, il padre perde contatto con la realtà e il figlio finisce con il dilettarsi a coltivare il proprio lato più dispettoso (vedi l'episodio nel quale si finge professore) e, socialmente parlando, criminale. Dietro l'abbagliante, elegante trama anni Sessanta che, un po' come i sofisticati titoli di testa, esibisce la propria monodimensionalità (è possibile bypassare l'omicidio del presidente Kennedy?), si consuma in perfetta assonanza con il tono dominante del film, vivace e civettuolo, il dramma del bambino abbandonato, che, pur continuando ad adorare il padre in una dimensione mitizzata (invitato a dire una preghiera, racconta la storia dei due topolini che illustra la filosofia di vita di Abagnale Senior), cerca conforto nella figura omologa del detective che, nel dargli la caccia, si comporta proprio come un genitore-educatore; e in una nuova famiglia (quella della fidanzata, scelta forse inconsciamente proprio per la possibilità di ricostruire un nucleo famigliare interrotto - si veda la scena nella quale Frank chiede in sposa Brenda, non prima di essersi assicurato che così facendo la famiglia, che l'ha bandita, la riaccoglierà in seno). L'ultimo Spielberg, insomma batte solo apparentemente bandiera spensierata con la complicità di un cast fedele e mattacchione, mentre in controluce (e torniamo alle sagome dei titoli di testa), mette in scena il dramma della perdita dell'innocenza, dello spaesamento della crescita e della disfunzionalità della famiglia. Lettura forzata? L'importante è non alzare troppo il tiro ed inventarsi una metafora "nazionale" che non ha ragion d'essere: la sua innocenza, l'America, l'ha persa a Dallas nel novembre del 1963. Semmai, le simpatiche mascalzonate del giovane Abagnale sono la riprova di come quel sistema fosse irrealmente ingenuo e naif prima dello sparo di Lee Oswald (e complici).
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