Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film
Jarmusch riflette sulla famiglia ed esprime una visione pessimistica ma intrisa di humor (a denti stretti). Non siamo di fronte a un capolavoro, ma è comunque un film intelligente e di grande maestria tecnica che, facendo un paragone musicale, dietro la parvenza di una musica da camera, nasconde la forza di un'opera sinfonica.
L’enfant terrible del cinema indipendente americano ritorna ai fasti del passato con “Father Mother Sister Brother”, un film intelligente e raffinato diviso in tre parti che esprime la tesi, pessimistica ma declinata in modo sottile, pacato e senza mai bisogno di urla e scene madri, dell’impossibilità dei rapporti tra figli adulti e genitori in presenza. Sembra un film minore ma non lo è affatto, è un ritorno alla poetica minimalista tipica del regista ma con la forza di un romanzo famigliare, che ti lavora dentro dopo averlo visto, ora dopo ora e per giorni. A unire simbolicamente i 3 episodi, apparentemente slegati tra loro e che si svolgono in un ideale presente e in diverse parti del mondo (una sperduta campagna americana, Dublino e Parigi), sono piccoli particolari che si ripetono, come il colore rosso di alcuni capi di vestiario dei protagonisti o alcuni tormentoni, espressioni idiomatiche e giochi di parole intraducibili in italiano.
Le tre parti di questo magnifico affresco hanno l’apparente intimità, delicatezza e pacatezza della musica da camera nel descrivere quadretti famigliari apparentemente innocui e insignificanti ma, a un ascolto attento, rivelano in realtà la monumentalità, solennità e apoteosi sonora tipica di un’opera di musica sinfonica nel restituire la tesi iper-pessimistica del regista sulla disgregazione dei rapporti famigliari. E ad ammorbidire e rendere visibile il tutto c’è la bellezza delle inquadrature e la cura delle immagini, che si fondono alla perfezione con le prove di recitazione magistrali di Tom Waits, Adam Driver, Cate Blanchette, Vicky Krieps e Charlotte Rampling.
E alla fine c’è una sorta di pacificazione/redenzione: mentre i primi due episodi sono una specie di variazione sul tema nel inscenare gli incontri di due fratelli con uno solo dei due genitori all’insegna di imbarazzi, incomprensioni, preoccupazioni, sensi di colpa, antipatie, non-detti, manifestazioni di disistima e incomunicabilità, il terzo episodio ci mostra l’incontro di due fratelli (attenzione: senza capi di vestiario di colore rosso), che visitano per l’ultima volta l’appartamento parigino vuoto (e non fintamente disadorno o spaventosamente in ordine come negli episodi precedenti) dei genitori defunti in un incidente aereo e le loro interazioni sono all’insegna della serenità, affetto e comprensione reciproca. Alla fine i due si accorgono di non sapere nulla di chi li ha messi al mondo (e lo scoprono sfogliando vecchi documenti, guardando foto e disegni, toccando oggetti), ma anche di sentirne la presenza e l’amore ancora intatti. Il film ci riporta a una domanda ineludibile ed eterna sul concetto di memoria e tradizione: chi sono o chi erano i nostri genitori? Avevano un’esistenza reale prima della nostra nascita che non potremo mai comprendere? E le nostre vite sono a loro volta destinate a essere cancellate e rese irrilevanti o tabù dai nostri figli e chi verrà dopo di loro?
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