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La magnifica avventura

Regia di George Stevens vedi scheda film

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La recensione su La magnifica avventura

di lorenzodg
8 stelle

Una magnifica avventura” (A Damsel Distressm 1937) è uno dei lungometraggi della sterminata opera cinematografica (regia,sceneggiatura e produzione) di George Stevens. Regista versatile con indubbie qualità passato dalla commedia al musical, dal melò al religioso, dal generazionale a quello drammatico. Si è cimentato in tutto quello che si può immaginare non mettendo a segno sempre colpi precisi ma si deve dire che è innegabile il suo mestiere e di mestieranti dietro la macchina da presa Hollywood ne ha avuto sempre bisogno. George Stevens un acuto regista che di film ne faceva e che di alcuni molti ricordano la maestosità e/o il cinemascope più moderno: basta elencare qualche sua pellicola per capire l’importanza di cui si parla, “Follie d’inverno” (1936, con la mitica coppia Astaire-Rogers), “Un evaso ha bussato alla porta” (1942, con Cary Grant), “Un posto al sole” (1951, con la coppia Clift-Taylor), “Il gigante” (1955, con il trio Taylor-Hudson-Dean), “Il diario di Anna Frank” (1959, con Millie Perkins) fino a “La più grande storia mai raccontata” (1965, con Max Von Sydow, Martin Landau e Charlton Heston). Il regista californiano di Oakland ha passato più generazioni e ha lavorato con produzioni di tutti i tipi e questo gli ha permesso di fare pellicole diversificate e sapienti racconti che rimangono inalterati fino ad oggi.

   Il film è tratto da “A Damsel in Distress” di Pelham G. Wodehouse (già nel 1919 il libro ebbe una trasposizione cinematografica ad opera di George Archainbaud con l’attore irlandese Creighton Hale): è la prima volta per Fred Astaire girare senza Ginger Rogers dopo una serie di pellicole in coppia. Lo stile inconfondibile di Fred Astaire rimane integro, leggero e surreale: un’ennesima prova di carattere e presenza scenica senza eguali.
 
Jerry Halliday (Fred Astaire) è un compositore americano che va in trasferta a Londra per lavoro. Qui incontra (in un taxi) fortuitamente una ragazza di nome Alyce (Joan Fontaine) proprietaria di un castello che Jerry visita con la soubrette Gracie (Gracie Allen) della compagnia ritrovando casualmente la stessa ragazza. Ed ecco che le storie diventano due: Jerry con Alyce e Gracie con il Lord Marshmorton (Montagu Love). Un doppio incontro anglo-americano con effetti dolciastri e ‘fiori d’arancio’.
   Una commedia musicale spassosa, rutilante, ben orchestrata e con schema poco avvezzo a ingegnosi accadimenti. Con linearità e semplicità, dove il sogno è dentro il reale (come illusione) cinematografico e il set par si confonda con un andirivieni di svenimenti, svogliatezze e sonnolenze di cuori appariscenti e di sguardi ammaestranti. Un Fred Astaire di una classe sopraffina che ridisegna se stesso senza sforzi e che confonde la troupe con il modo e il modo dentro il suo ritmo. Epopea del musical irripetibile dove non serve la storia ma si usa il contorno di essa per esaltare vita e gioia ad essa da collegare. Tutto è una cadenza di gambe e di note armoniosamente esenti da problemi sociali extra-inquadrature. E’ una speranza di allegria per sempre rinchiusa in una scena che si espande con forza inglobando la tristezza attorno a una finzione di vita e una vita immaginata. Il finale di movimento sopraffino, canto, batteria e voce incantevole testimoniano la visita in un cinema che rimane (significato) epoca ben precisa e soqquadro (positivo) delle molte arti.

   Fred Astaire attore unico e da lui che si deve partire (e arrivare) per un certo immaginario primo (e ultimo): imprescindibile ogni sua scena per (ri)studiare il musical e la verve (gloriosa) di una Hollywood integra e lontana (nei sogni).

   Musiche straordinarie di George Gershwin (al suo ultimo lavoro cinematografico) e coreografie premiate con l’Oscar.

    Voto 8/9.

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