Regia di Leigh Whannell vedi scheda film
B-Movie (25 mln/$) del Prestige/Elevated Horror.
Una dicotomica scena sineddotica a giudizio di questo reboot del franchise creato da George Waggner e Curt Siodmak quasi 85 anni prima: bello il grosso ramo d’albero che, spezzato dal furgone in caduta, scivola via compiendo un arco di 90° dall’inquadratura/parabrezza/schermo girata anch’essa di 90° sul fianco destro, in equilibrio precario, e meno bella invece l’inutile sterzata che quel campo-cornice ha creato, tra l’altro diretta verso valle invece che verso monte, al posto di freno-frizione-e-basta, portando altresì e per contro il film ad ingranare tanto su binari consueti quanto su sentieri sì già tracciati, ma poco battuti.
E poi: bella - didascalica, ma sorprendente: un lodimo espletato attraverso quel che al contempo è un lofamo - la descrizione rappresentativa della modificazione delle capacità visive, uditive ed olfattive del protagonista e la progressiva scomparsa della sua capacità di comprendere il linguaggio umano sostituita da un codice/lessico ferino, ma meno bello l’utilizzo reiterato che diversi personaggi, anche insospettabili, fanno delle altane da caccia che sono costruite per appostarsi e sparare dall’alto, non per accucciarvisi dentro e aspettare che un orso mannaro, un lupo mannaro o un cinghiale mannaro vi si arrampichino sopra.
Quel che di Leigh Whannel (“Upgrade”) piace sono certe composizioni di regìa shyamalaniche (fotografia di Stefan Duscio, suo sodale di sempre, così come lo sono il montatore Andy Canny e il musicista Benjamin Wallfisch), già ben presenti in “the Invisible Man”, mentre quel che non convince, mai, a fondo, è il suo primo lavoro e, al punto in cui oggi è la sua carriera, ancora quello principale, ovvero la sceneggiatura (“Saw”), tanto per la forma/stile quanto per la sostanza/contenuto, qui condivisa con la consorte attrice Corbett Tuck (“Insidious”), esordiente come scrittrice:
- Mi spiace tanto che tu abbia dovuto passare tutto questo. Il mio compito è quello di proteggerti, ma non l’ho fatto. Ti ho fatto passare un’esperienza davvero spaventosa, e non potrei mai perdonarmi se tutto questo, capisci, ti rimarrà impresso e ti segnerà. Sai, a volte quando sei un papà hai così tanta paura che i tuoi figli si ritrovino con delle cicatrici che diventi ciò che li segna.
[- “Hm, adesso che mi ci fai pensare, papino, diciamo che fino a questo momento non mi sentivo proprio così tanto segnatissima, eh.” - NdR]
Christopher Abbott (James White, It Comes at Night, Tyrel, Vox Lux, Piercing, Catch-22, Possessor, Black Bear, the World to Come, the Forgiven, Sanctuary, Poor Things, Swimming Home) è un valore aggiunto e s’impegna a dovere al fianco (per la terza volta dopo "Marta Marcy May Marlene" e la 5ª stag. di "Girls") di una sempre interessante Julia Garner ("the Americans", "Everything Beautiful Is Far Away", "Ozark", "Waco", "Maniac", "the Assistant", "the Royal Hotel", "Apartment 7A" ), a Sam Jaeger, a Benedict Hardie, ai piccoli Matilda Firth e Zac Chandler e al cameo vocale del regista stesso, mentre la Nuova Zelanda interpreta quella “not really part of the world” dell’Oregon.
"Wolf Man" - make-up johnlandisiano di Arjen Tuiten, produzione di Jason Blum(house) e distribuzione Universal - è anche un po’ come il suo prologo con la vespa poliste sopraffatta dalle formiche: più fine a sé che a qualcos’altro.
* * * ¼ - 6.50
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta